Quanti secoli sono trascorsi da quando gli uomini si sono sepolti nelle geometriche profondità di un mondo metallico e artificiale? Tanti, perché ormai quasi nessuno sa più cosa siano la luce del Sole, il verde dei prati, le altre specie animali… E quasi nessuno ricorda più la catastrofe ambientale che ha reso invivibile la superficie del pianeta Terra. Le uniche vestigia rimaste sono strati su strati di dati informatici: corrotti, distorti, oscuri. Frammenti da scavare, rinvenire, ricomporre, nel tentativo di dare un senso alla storia dimenticata.
Ura (ウラ) è un archeologo dell’informazione. Recupera le masse informi degli antichi dati, e con infinita pazienza analizza, ripulisce e riannoda le file brute di 0 e 1: ne estrae immagini e testi; più raramente, suoni e filmati. Ura è uno dei pochi che ancora crede nella realtà del passato.
Riko, una sua collega ha perso da molto fiducia nell’impresa. Ma davvero Ura sta cercando di restituire al presente una realtà perduta? Non è forse il contrario, non sta usando i ricordi di un passato ormai morto come fuga personale da una realtà presente che non riesce ad accettare? E anche Riko, che trascorre il suo tempo distesa su una piattaforma isolata, lungo una scala infinita, non sta scappando da sé stessa? E soprattutto, questa realtà presente, questa città sotterranea, fatta di corridoî e luci sintetici, fino a che punto è quella che si pensa che sia?
Lo dico subito: Pale Cocoon (ペイル・コクーン) è da vedere. Poco più di venti minuti. Animazione tradizionale per i personaggi, animazione digitale 3D per i fondali. Soprattutto, Pale Cocoon è un’autoproduzione, un cortometraggio “fatto in proprio”. In Giappone è stato venduto in DVD una diecina di giorni fa, il 18 gennajo 2006. Porta il nome dello Studio Rikka, ma l’autore, che ha fatto gran parte del lavoro da solo, si chiama Yoshiura Yasuhiro (吉浦康裕), non nuovo a imprese di questo genere. Venti minuti che hanno richiesto un anno e più di lavoro. Ma il risultato paga: Pale Cocoon dimostra ancora una volta come in Giappone, con una certa dose di impegno e fatica, sia possibile fare autoproduzioni che reggano senza problemi il confronto con l’animazione “ufficiale”. Si va subito a pensare a La voce delle stelle, con cui Shinkai Makoto, qualche anno fa, aveva portato a termine un’impresa simile a quella di Yoshiura Pale Cocoon. Ma quest’ultimo fa parecchî passi più in là rispetto al suo predecessore. La voce delle stelle, al di là dell’alto livello tecnico, si baloccava ancora un po’ troppo con robottoni, divise scolastiche e commozioni facili. Pale Cocoon certamente non nasconde i suoi limiti: l’animazione dei personaggi denuncia un basso budget, e quella digitale dei fondali non riesce a scrollarsi di dosso movimenti di camera a volte troppo matematici. Ma sono limiti fisiologici. Poi, a voler essere pignoli, la superficie visiva a volte può sembrare un po’ patinata. Ad altri, invece, Pale Cocoon potrebbe dar fastidio per il ritmo un po’ lento, fatto di dialoghi, e di particolari cui fare attenzione, che esigono visioni ripetute.
Vederlo due o tre volte credo ne valga la pena. Pale Cocoon porta avanti i suoi discorsi senza troppe ingenuità. Sceglie un tema abusato, il binomio realtà/finzione, i mondi virtuali, la fragilità della realtà e la forza dell’illusione… è quasi banale pensare agli antecedenti: Matrix, Serial Experiment Lain… soprattutto, il cinema di Oshii: Ghost in the Shell, Avalon, Innocence. Da Oshii e il suo Avalon Yoshiura riprende la sequenza centrale, uno scorrere rapido e ripetitivo dei giorni del protagonista, commentato unicamente dalla musica. Innocence è un ottimo termine di confronto, invece, per vedere quanto Pale Cocoon riesca a fare con budget e mezzi di gran lunga inferiori. Ma superando i predecessori Pale Cocoon dice e mostra qualcosa di suo. Soprattutto, gioca con abilità e con un tocco di amara ironia nel proporre un rovesciamento totale del nostro presente: oggi, a inizio XX secolo, c’è chi fugge, non conosce, nemmeno considera la realtà concreta, i cieli azzurri, gli odori e la solidità della terra e degli altri viventi, fugge la realtà e (così si dice) si rifugia nei mondi virtuali dei computer e delle reti (o dell’animazione…); nel presente di Pale Cocoon è questa nostra realtà ad essere diventata qualcosa di virtuale, irrecuperabile, un miraggio composto di dati sterili e inerti, ed è in questo miraggio che si rifugia Ura, fuggendo dalla sua realtà, quella della città sotterranea, tecnologica e digitale.
Giunti al finale, poi, Pale Cocoon arriva anche a sorprendere. Non tanto per la rivelazione sulla vera(?) natura del suo mondo: già a metà filmato si intuiva che il colpo di scena era in agguato, e poco più oltre diventava facile indovinare quale. Non solo, poi, per il notevole montaggio con cui è costruita l’ultima sequenza. Sorprende soprattutto perché, nei suoi ultimissimi minuti, ecco che all’improvviso si libera dai consueti dilemmi virtuali della fantascienza attuale, spicca il volo sopra le macerie del cyberpunk e apre un panorama solenne che riporta indietro, alla fantascienza classica.
E se qualcuno rimarrà deluso che la musica tanto lungamente cercata da Ura nei ricordi del mondo si sia rivelata una canzonetta un po’ banale, be’… un buon contraccambio è l’evidente riferimento a La biblioteca di Babele, quel racconto di Borges secondo cui tutto l’universo era visto come una ricombinazione incessante di lettere, infinita e periodica.
– Sito dello Studio Rikka, dove è stato realizzato Pale Cocoon (in giapponese): http://www.studio-rikka.com/.
– Parte del sito dedicata a Pale Cocoon (sempre in giapponese): http://www.studio-rikka.com/page/pale/pale_top.htm.
– Indirizzo da cui poter scaricare un breve trailer del filmato: http://www.studio-rikka.com/page/pale/pale.mpeg.