The Sky Crawlers – Intervista a Oshii Mamoru


Ed ecco arrivare la traduzione di fine anno.
Con un ritorno alla mia vecchia passione, ho tradotto un’intervista di media lunghezza a Oshii Mamoru sul The Sky Crawlers, suo film che trovo un po’ trascurato. Poi in realtà il regista parla di molte altre cose, com’è suo solito, o com’è solito dei registi affermati.
Come sempre, la traduzione è presente sul mio sito-deposito di traduzioni e la pubblico anche qui per darle una maggior visibilità.
Continua a sperare, prima della fine delle “feste” di avere la possibilità di fare almeno un’altra traduzione…

La seguente intervista è tratta dal volume: Oshii Mamoru zenshigoto rimikkusu, Tōkyō: Kinema Junpōsha, 2009, pp. 216-218, già pubblicata sul numero della prima decade di agosto 2008 della rivista Kinema Junpō.
La traduzione è stata realizzata da Yupa dal 27 al 31 Dicembre 2020.
L’ordine cognome-nome rispetta l’originale giapponese e non è ribaltato come invece avviene di consueto (quindi Oshii Mamoru e non Mamoru Oshii).
La traduzione è stata eseguita senza alcun fine di lucro, con l’unico scopo di divulgare informazioni in lingua italiana sull’animazione giapponese altrimenti irraggiungibili, ed è liberamente distribuibile. In caso di citazione si prega di non alterare il contenuto. In caso di distribuzione e/o utilizzo si prega comunque di avvisare anticipatamente il traduttore.

Noi possiamo soddisfare la nostra passione solo coi film che facciamo, per questo ho voluto realizzare qualcosa di diverso da quanto fatto finora

Intervista di Masutomi Tatsuya

A un certo punto mi sono trovato con un piede nella fossa
Ho visto con piacere la sua opera più recente, The Sky Crawlers. La cosa più interessante è stata l’impressione che ho avuto, cioè che, tra Ghost in The Shell (1995) e Innocence (2004), dalla metà degli anni Novanta in poi la temperatura corporea delle sue opere si sia via via abbassata. E ho pensato che invece, con questo film, questa temperatura si sia un po’ alzata.
Penso sia proprio così. Il periodo più piacevole per me nel fare film è stato al tempo di Lamù – Beautiful Dreamer (1984), c’era la gioia per aver finalmente capito come si fa un film, mentre con Patlabor 2: The Movie (1993) ho raggiunto un senso di completezza. È un film che ho realizzato dandomi da fare per ottenere almeno quella sorta di socialità che c’è nel cinema, ovvero pensando che anche con l’animazione si possono ottenere cose del genere. Però, penso da Ghost in the Shell in poi, anche se ovviamente ho mantenuto la mia passione, a quel punto c’era qualcosa acquattato nell’ombra. Con Innocence forse mi sono raffreddato completamente, e così anche il mio interesse s’è indirizzato verso le bambole. Anche se con quel film ho parzialmente portato avanti la tematica del corpo, si trattava di un corpo che si raffredda. Forse sarà stato perché ho avuto problemi di salute? Avevo dei problemi concreti, insomma. Poi non so se adesso ho realizzato The Sky Crawlers perché sto di nuovo bene, oppure sto di nuovo bene perché l’ho realizzato, o forse sono entrambe le cose, ma quel che è certo è che ho cercato di ottenere qualcosa del genere.
L’idea è che da metà anni Novanta in poi ha lavorato sentendo di avere un piede nella fossa.
Con Innocence, altroché un piede, avevo metà corpo nella fossa e avevo questo in mente di fare, un film simile all’aldilà. Un Mondo in cui nessuno percepisce di star vivendo. A pensarci ora mi chiedo come mai ho realizzato una storia così folle, ma al tempo ardevo di un entusiasmo pazzesco nel realizzare quel Mondo. Però mi sono esaurito. Ho perso il desiderio di far di nuovo cose del genere. Quel che avevo fatto bastava e avanzava. Ma qualunque regista a quanto pare arriva sempre a fare film con un piede nella fossa, o detto in altri termini film che riguardano la visione della vita e della morte. Anche Zigeunerweisen (1980) di Suzuki Seijun, o Sonatine (1993) di Kitano Takeshi sono film sull’aldilà. Ne ha fatto uno anche Miya-san (Miyazaki Hayao). La città incantata (2001) è una storia su una persona che va nell’aldilà e ne torna. E poi con quel film Miya-san è rinato. Ha ritrovato la sua sensualità. E anch’io, dopo che con Innocence sono andato nell’aldilà e ne sono tornato, ho sentito un po’ di desiderio di sensualità. E noi possiamo soddisfare questa passione solo coi film che facciamo. Per questo ho voluto realizzare qualcosa di diverso da quanto fatto finora.

Voglio solo fare le cose che mi piacciono, quelle che mi divertono
Dopo Innocence si è occupato anche di opere originali in superlivemation come Tachiguishi retsuden (2006) e Shin – Onna tachiguishi retsuden (2007). Non le sono servite per riprendersi?
Al contrario. Ai tempi di Tachiguishi retsuden avevo toccato il fondo. Tanto per cominciare stavo male fisicamente, ero sempre a letto ed ero ingrassato. In teoria avrei dovuto fare qualcosa di molto più divertente, ma alla fine è risultato qualcosa di depresso e rancoroso. Ci ho messo anche un po’ di umorismo fracassone, e mi hanno detto che questo era divertente, ma è stato tutto frutto della disperazione. Però le critiche sono state inaspettatamente buone e allora ho voluto fare qualcos’altro di simile, e così ho fatto Shin – Onna tachiguishi retsuden.
Tachiguishi retsuden è stato selezionato ufficialmente anche per la sezione orizzonti del festival del cinema di Venezia.
Mi sono davvero chiesto perché mi avessero chiamato, ma quando ci sono andato l’ho capito. Tutti mi hanno chiesto la stessa cosa: “Perché il cinema giapponese non mette più in scena il dopoguerra?”. Ovvero, Tachiguishi retsuden è, dopo tanto tempo, una storia del dopoguerra messa in scena da un film giapponese. Ho pensato che avevano ragione. È vero che la storia del dopoguerra il cinema giapponese non la racconta più da tempo, ma lo sguardo con cui si vede il cinema all’estero e in Giappone è diverso, e il Mondo di chi vive in Giappone non è lo stesso per tutti. Il Mondo in cui vivono gli anziani e il Mondo in cui vivono i giovani sono completamente diversi e anche il tempo è diverso. Per questo The Sky Crawlers è dovuto essere un film di un tipo che potesse raggiungere entrambi, e ho potuto sentire di essere riuscito a fare questo sforzo, o almeno ci ho tentato. Piuttosto, non volevo tornare a quei momenti di depressione. Ero stato troppo male fisicamente. Saranno stati disordini dovuti alla mezza età. Allora ho cominciato a fare karate e l’ho trovato così divertente da non riuscire a smettere. E il mio corpo si è fatto via via più leggero.
Ho deciso che da allora in avanti avrei fatto solo le cose che mi piacciono, quelle che mi divertono. E questo a prescindere da cosa mi avessero detto gli altri. Tanto dopo mi aspetta solo la morte. Tutti i registi che hanno fatto film con cui sono andati temporaneamente all’altro Mondo la pensano allo stesso modo. Vale anche per Miya-san. Lui è come se dicesse: chi se ne importa, io voglio realizzare film da animatori per animatori. Poi, nel concreto è qualcosa di difficile. La storia dell’animazione come forma espressiva sta procedendo verso il suo prossimo stadio. Ma lui fa quel che vuole fare, non importa se ribellandosi alla storia e non ascolta ragioni. Ed è così che abbiamo Ponyo sulla scogliera.
Dall’altra parte in The Sky Crawlers degli individui chiamati “kildren”, che vivono come eterni ragazzi, lavorano in guerre che funzionano come degli spettacoli. Lei ha detto che con questo film vuole affidare un messaggio all’attuale giovane generazione.
Se mi dicono che l’ho realizzato per i giovani, be’, è proprio così, sono arrivato a sentire la volontà di poter parlare un po’ ai giovani. E al contempo ho voluto realizzare qualcosa che fosse appassionante per me. Ma non con una passione fredda, come può essere quella per le macchine, bensì qualcosa di molto più caldo. Forse ci sarà anche chi troverà i kildren freddi, ma per quanto mi riguarda sono comunque caldi. Le cose che Miya-san ha fatto per i bambini e quella che ho fatto io per i giovani sono completamente diverse. Quando ho visto Ponyo sulla scogliere ne ho avuta la chiara certezza. Di suo Miya-san è qualcuno che non si rende affatto conto di ciò che realizza, è una sorta di cosiddetto genio inconscio.

Penso di aver realizzato per la prima volta un film gentile verso i giovani
Questa volta ha realizzato unicamente un dramma nel vero senso del termine. E la prova di questa sua determinazione è The Sky Crawlers.
Però, visto che è un film, visivamente dev’essere brillante, la musica dev’essere flessibile. Ma non nel senso che devono esserci un sacco di scene d’azione, o che si inseriscono un sacco di brani orchestrali. Ovviamente a me piace anche Indiana Jones. Semplicemente quel che io voglio realizzare è diverso, io mi chiedo se col cinema non si possa realizzare qualcosa un po’ più diverso. Io finora sono vissuto grazie alle repliche. Ci sono diverse edizioni dei DVD di Patlabor, no? Io semplicemente sbarco il lunario grazie ai clienti che le comprano tutte, proprio per questo voglio mantenere l’equilibrio tra uscite ed entrate. Se realizzassi i film unicamente per soddisfazione personale, non riuscirei a mantenere questo equilibrio. Finora ho perseguito qualcosa che andasse al di là della passione contenuta nei dettagli, ed effettivamente ho ottenuto cose difficili da comprendere. In tal senso, questa volta ho cercato di ottenere qualcosa di convincente, che non richiedesse un addestramento speciale per fruirlo, ed è stato interessante farlo. Anche se mi sono sentito teso al riguardo.
Effettivamente questo film, paragonato alle sue precedenti opere, ha una storia di facile comprensione, ma di fatto anche così è possibile andare, penetrare in profondità.
Sulla superficie, o per quel che si può vedere, l’ho realizzato in modo che fosse comprensibile. Ma qua e là ho messo un sacco di porte, e ho fatto sì che, una volta aperte si possa vedere il film in maniera un po’ diversa. Ma di base va visto senza complicazioni, e quel che volevo comunicare l’ho comunicato. Quindi, più che facile da capire, l’ho realizzato come un film gentile. Ho pensato di aver realizzato per la prima volta un film gentile verso i giovani. O anche cortese. Ho pensato che altrimenti non sarei riuscito a starci dentro con le entrate e le uscite, ma anche che questa era l’unica occasione per farlo. È per questo che mi sono rimesso in salute.
Anche questa volta ha utilizzato ampiamente delle lunghe sequenze, e ha perseguito un’interpretazione dettagliata dei personaggi.
Anche i dialoghi sono pochi. Se si escludono alcuni termini specifici, ho fatto anche attenzione a non usare nessuna parola che non fosse d’uso quotidiano. C’è una sola scena in cui ci sono dei lunghi dialoghi, ma più che farla perché lo volevo l’ho fatta perché lo esigevano le relazioni tra personaggi. Per questo non c’è alcun bisogno di comprendere i dialoghi in quanto tali.
Anche le scene delle battaglie aeree, che sfruttano la computer grafica tridimensionale, sono spettacolari. Dal punto di vista di un appassionato di film di guerra, si può dire siano proprio le scene di battaglie aeree che si volevano vedere.
Dentro di me avevo un desiderio. Finora nel cinema non sono quasi mai state messe in scena come si deve delle battaglie aeree, e se anche c’erano non erano quelle che io volevo vedere. C’era proprio qualcosa che non andava. Uno dei nostri compiti è anche realizzare come si deve cose del genere, sono queste le cose che ci vengono richieste, ed è anche su queste che veniamo valutati ma ovviamente un film non lo puoi fare solo con questo, quindi il punto era come introdurre in maniera funzionale in un mio film questo desiderio, questa voglia. Che ruolo hanno quindi le battaglie aeree in questo film? In questo film ho avuto bisogno di un ritmo diverso tra il tempo estremamente compresso sopra le nubi e un tempo estremamente dilatato sul terreno. C’è stata anche la tematica del come mettere in scena il lungo tempo dell’attesa, quando, una volta scesi a terra tutto si fa pesante, e si può solo fumare o bere una birra, e dall’altra mostrare la compressione del tempo nelle battaglie aree, quando non si ha nemmeno un istante per tirare il fiato. Quindi la volontà di realizzare delle battaglie aeree spettacolari ovviamente è un desiderio da parte di chi cura la messa in scena, ma è anche una necessità per avere un punto di vista diverso. Detto così, più che nelle opere che ho fatto finora mi sono tirato indietro dal mio ruolo di regista, pensando all’equilibrio generale del film. Più pensavo a come realizzare la mia funzione di regista e più mi sono trovato a dovermi allontanare dal luogo di lavoro.

Ho deciso di continuare a fare animazione
In questo senso il luogo di lavoro quando si fa animazione o quando si fanno film live cambia completamente.
Sì, cambia. È proprio quel che si fa che cambia completamente, l’animazione non prende realtà davanti ai tuoi occhî come il cinema live. Anche lo stesso regista si può dire faccia un altro tipo di lavoro. Per questo mi viene voglia di fare entrambe le cose. Recentemente per la prima volta ho fatto da regista per un telefilm, Keitai sōsakan 7 e mi sono davvero divertito. Anche in futuro farò periodicamente del cinema live. Ma a differenza di quanto fatto finora, non farò un film live ogni film d’animazione che giro. In passato ho provato a farlo ma è stato sorprendentemente difficile, quindi ho lasciato perdere. Ho deciso che d’ora in poi li farò contemporaneamente. Forse questo porterà grandi insoddisfazioni per chi dovrà lavorare insieme con me, ma ho pensato che dopotutto solo in questo periodo posso far così, e quindi lo farò.
A proposito, Kase Ryō, uno dei doppiatori di questo film, ha detto di voler comparire in un suo prossimo film live.
Succede anche che si realizzino incontri del genere con gli attori. C’è chi diventa attore grazie all’animazione e ci sono anche casi di persone incontrate sul set del cinema live a cui si dice: “Non vorresti provare a fare animazione?”. Io non voglio usare gli attori unicamente a causa della loro notorietà ma ci sono persone con cui ho avuto costantemente a che fare, come Takenaka Naoto o Nezu Jinpachi e anche per questo film per il ruolo del Maestro ho immaginato fin dall’inizio Takenaka. Aveva solo tre battute e così mi ha detto: “Tutto qui?!” (XD). In questo senso anche per questo film abbiamo fatto semplicemente un casting per vedere chi potesse doppiare e chi no: io non voglio usare gli attori a casaccio. Quindi probabilmente il risultato è più interessante grazie alle elevate capacità dei doppiatori professionisti. Penso che in assenza di solide basi sia meglio scegliere dei doppiatori professionisti. Perché hanno un addestramento specifico. Sasakura, il capo meccanico, non poteva farlo che Sakakibara Yoshiko. Però, per i giovani protagonisti di questo film ho pensato non andassero bene dei giovani doppiatori, la tecnica dei doppiatori si sarebbe adattata perfettamente a loro e senza incongruenze, ma in questo caso non avrebbe funzionato. Io volevo un leggero senso di incongruenza. In altri termini il mio ideale era che non si adattassero perfettamente, che fossero leggermente incongrue, ma che facessero dire allo spettatore che non si sarebbero immaginati comunque delle voci diverse. In questo senso per questo film è stata una gran cosa aver incontrato Kase Ryō e Kikuchi Rinko.
Per concludere, cosa ci dice della sua prossima opera e delle sue opere che verranno?
C’è molto da dire. Ma realisticamente è tutto ancora da scrivere. Però, finché non mi verrà detto di fermarmi, ho deciso di continuare a fare animazione costantemente ed è per questo che ho fatto questo film. Non smetterò nemmeno di fare cinema live, e farò solo ciò che voglio, ciò che mi dà piacere. Per questo vorrei andare avanti a fare onestamente non ciò che propongo io, ma le cose che mi vengono proposte. Ovviamente non è che io non abbia dei miei progetti ma non ho alcuna voglia di fissarmi solo su di essi. Di suo anche questo film mi era stato proposto, e se mi fisso troppo sulle mie cose, rischio di allargare troppo non solo il mio spazio di lavoro, ma che come risultato questo invada anche la mia vita. In altri termini, mi sento libero anche dal non poter fare certe cose. Di fatto, Miike Takashi, che ho conosciuto grazie a Keitai sōsakan 7, è qualcuno che ha fatto così, che dice “Io non sono chissà chi”, ma intanto come risultato i suoi film sono sempre qualcosa di suo. Ci sono tante cose da cui è difficile liberarsi. Per riuscirci ci vogliono delle basi e tra esse probabilmente è necessario il fisico. Sentirsi freschi. Essere in forma. Avere un fisico costantemente leggero. Per questo io non ho più intenzione di poltrire con la pancia di fuori. Non è il caso.

Nausicaä della Valle del Vento (fumetto) – Intervista a Miyazaki Hayao


Regalino di natale! O, più precisamente, di Solstizio incombente.
Nei ritagli di tempo ho tradotto una lunga e fondamentale (e faticosa) intervista a Miyazaki su quella che considero ancora a tutt’oggi la sua opera più importante, il fumetto di Nausicaä della Valle del Vento.
Come sempre, la traduzione è presente sul mio sito-deposito di traduzioni e la pubblico anche qui per darle una maggior visibilità.
Spero durante queste “feste” di trovare tempo, forze ed energie, per tradurre altro…

La seguente intervista è tratta dal volume: Shuppatsuten 1979~1996, Tōkyō: Tokuma Shoten, 1996, pp. 521-534, precedentemente pubblicata sulla rivista Yom, Iwanami Shoten, numero del giugno 1994.
La traduzione è stata realizzata da Yupa dal 27 al 31 Dicembre 2019, rivista e corretta dal 15 al 19 Dicembre 2020.
Come termine di confronto è stata utilizzata la versione inglese presente al seguente indirizzo: http://www.nausicaa.net/miyazaki/interviews/afternausicaa.html.
I nomi tipici del fumetto di Nausicaä sono tradotti in base all’edizione italiana Panini del fumetto dell’anno 2000-2001.
L’ordine cognome-nome rispetta l’originale giapponese e non è ribaltato come invece avviene di consueto (quindi Miyazaki Hayao e non Hayao Miyazaki).
La traduzione è stata eseguita senza alcun fine di lucro, con l’unico scopo di divulgare informazioni in lingua italiana sull’animazione giapponese altrimenti irraggiungibili, ed è liberamente distribuibile. In caso di citazione si prega di non alterare il contenuto. In caso di distribuzione e/o utilizzo si prega comunque di avvisare anticipatamente il traduttore.

Ora che Nausicaä della Valle del Vento è concluso

La storia non è finita

Un’opera che non avevo la fiducia di poter concludere
– Dopo tredici anni la pubblicazione su rivista di Nausicaä della Valle del Vento è finita.
Miyazaki: I capitoli della serializzazione su rivista sono cinquantanove, quindi sarebbero solamente cinque anni di tempo, ma tra una cosa e l’altra, detto con precisione, credo di aver speso metà degli ultimi dodici o tredici anni su Nausicaä.
Di fatto è un’opera che sin dall’inizio non avevo la fiducia di poter concludere. Si può anche dire sia riuscito a disegnarla senza pensare al futuro, visto che avevo deciso che avrei potuto interromperla in qualunque momento. Non l’ho realizzata pensando “voglio farla così”, ma “è in questo modo che va”.
– Davvero? Essendo il suo un universo narrativo di largo respiro – potremmo definirlo quasi un racconto epico – pensavo avesse avuto una pianificazione accurata dall’inizio alla fine, elaborata con cura nel corso di un lungo periodo.
Miyazaki: Io questa capacità di concettualizzazione non ce l’ho proprio. Ho avuto più volte l’esperienza di capire solo molto dopo il significato di ciò che avevo disegnato con le scadenze alle costole.
– Nel terzo anno dall’inizio della pubblicazione su rivista, nel 1984, è stato proiettato il film e giusto dieci anni dopo, quest’anno, la pubblicazione è finita. Ci sono state molte recensioni, anche critiche.
Miyazaki: A quanto pare c’è chi ha dato un’occhiata anche al fumetto sulla base dell’impressione ottenuta dal film. Gente che ha recepito il personaggio di Nausicaä come una guerriera dei problemi ambientali, gente che non è sfuggita a questo pregiudizio, e si può dire che il fumetto non abbia avuto forza sufficiente per evitarlo…
– Tra fumetto e film la storia stessa è parecchio diversa. Inoltre, nel fumetto si percepiscono degli elementi più complessi nella personalità di Nausicaä.
Miyazaki: Proprio così. Se film e fumetto avessero avuto lo stesso contenuto, non avrebbe avuto senso proseguire il fumetto dopo la fine del film.
Ero incerto sia sulla direzione con cui riprenderlo, sia se ce l’avrei fatta, ma c’erano cose del film che non mi convincevano e così mi sono forzato a proseguirlo. Sinceramente, sarebbe corretto dire che quando interrompevo la pubblicazione per un nuovo film dentro di me mi sentivo sollevato dal poter sfuggire al tavolo da disegno.
Non è una cosa che posso dire ad alta voce, ma quando finivo un nuovo film, anche dopo essermi riposato un po’ era dura tornare di nuovo da Nausicaä. Alla fine l’ho interrotto ben quattro volte.
– Il film invece è diventato una bandiera del movimento ecologista fiorito giusto negli anni Ottanta…
Miyazaki: Io non l’ho fatto in alcun modo consapevolmente, ma credo che alla fine si sia ritrovato in questa posizione. Il fumetto l’avevo pensato molto tempo prima, ha avuto il suo principio mentre leggevo cose come i libri di Nakao Sasuke [botanico giapponese; n.d.Y.].
Detto in altri termini, non l’ho cominciato con l’intenzione di disegnare, con Nausicaä, una storia relativa all’ecologia, che parlasse di proteggere l’ambiente.
All’inizio volevo disegnarla ambientandola in un deserto, ma quando ho provato a farlo non risultava interessante, allora ho provato a metterci una foresta, e così è risultata più convincente. Ecco com’è andata. E così è risultata la storia che conosciamo.
Anche in questo senso non l’avevo pianificata a grandi linee. L’ho scritta lasciandomi trasportare dalla direzione che prendeva. Quando non sapevo come portarla avanti, mi sono detto di inserirci qualcosa di grosso, ed ecco l’Enorme Dio Guerriero dormiente… Anche in questo caso l’ho semplicemente inserito pensando “Ma poi cosa gli succederà? È un problema”, ma prima o poi in qualche modo si sarebbe sistemato tutto, o magari avrebbe chiuso prima la rivista (XD). Ed è così che sono andato avanti, barcamenandomi in qualunque modo…
– Quando era ancora ambientata nel deserto, che tipo di storia voleva disegnare…?
Miyazaki: Non me lo ricordo. Non me lo ricordo sul serio. Devo aver pensato diverse possibilità… Ricordo solo che ero estremante arrabbiato. È un fatto che fossi arrabbiato per lo stato del Mondo, per cose del genere.
– Era intorno al 1981 o 1982?
Miyazaki: Intorno al 1980. C’erano anche i problemi ambientali, ma non solo. C’era anche la questione sulla direzione in cui sarebbe andata l’umanità, ma il problema maggiore mi pare fosse la situazione del Giappone. E poi probabilmente era arrabbiato soprattutto per com’ero io al tempo.
– Quindi al culmine dell’economia della bolla… [con economia della bolla si indica la crescita vertiginosa del mercato immobiliare e finanziario giapponese degli anni Ottanta, poi esplosa nel decennio successivo; n.d.Y.]
Miyazaki: Provavo vergogna. Ero disgustato. E se ora mi chiedono se mi sono calmato, dico che la frustrazione si è spostata in altre direzioni.

Finito il film mi sono trovato con le spalle al muro
– Se fin dall’inizio non c’era un piano che portasse a una conclusione, questo non è stato un problema nel momento in cui si decise di trarre un film da Nausicaä?
Miyazaki: È stato un vero problema. Se fosse stata l’opera di qualcun altro, avrei potuto affrontarla in maniera aggressiva, ma essendo una cosa nata da pochissimo dentro di me, non sarei riuscito a renderla fruibile ad altri. Anche se nel fumetto non emergono, dietro ogni vignetta sono presenti diverse idee e sentimenti. Avrei dovuto usare come tematiche quelle presenti nel fumetto, ma riarrangiandole cambiandone il significato, e rinchiudendole in uno spazio più ristretto.
Un film richiede che si faccia ricorso a uno spazio più ristretto. Ci sarà chi dice che si può anche spaziare di più, ma io sono una persona che fa film d’intrattenimento e quindi penso a uno spazio in cui farceli star dentro.
Più di così non posso fare, in un film. C’è un significato nel fatto che Nausicaä, quando scopre il ruolo, la struttura e il significato del Mare della Putrefazione, compia una rivoluzione copernicana. Nel film avevo deciso di fermarmi a questo, ma dentro di me c’erano troppe cose vaghe che non si lasciavano includere in questa cornice, e non riuscivo a dar loro un ordine.
Ma era naturale che non potessi, visto che avevo deciso di disegnare nel fumetto quello che non potevo fare nel film.
– Capisco. Ecco perché tra fumetto e film Nausicaä è risultata un’opera chiaramente diversa. Perché il film ha un suo modo di aprire e chiudere la vicenda.
Miyazaki: Ma anche se dovessi fare Nausicaä in film ora che la pubblicazione è finita, avrei fatto la stessa cosa. Questo non credo sarebbe cambiato.
– Il modo in cui finisce il film non ha influenzato la pubblicazione successiva?
Miyazaki: Come ho già detto prima, il film arrivava a una sorta di punto fermo, quindi non avrei disegnato la pubblicazione per replicare le stesse cose. Com’era finito il film ormai non aveva alcuna importanza. Dopotutto io stesso me n’ero dimenticato (XD).
Però, e questo avveniva all’inizio, quando realizzavo il film sentivo che Nausicaä lo stavo realizzando come una sorta di “desiderio”, cioè che non fosse una rappresentazione della realtà così com’è, ma quando arrivai a concludere nel concreto il film, scoprii di essermi impantanato in territorî religiosi in cui non volevo granché addentrarmi, e mi trovai seriamente con le spalle al muro. “Così non va”, pensai.
Quindi, dato che dopo il film avrei proseguito la pubblicazione di Nausicaä, in teoria ero determinato ad affrontare questo problema con un approccio un po’ più deciso rispetto a prima, ma quando ci provai saltarono fuori un sacco di cose poco chiare e alla fine mi sono ritrovato a disegnare il fumetto dall’inizio alla fine senza chiarirmele.
– La pubblicazione è molto più lunga successivamente alla conclusione del film che non prima.
Miyazaki: Proprio così. E io ho portato avanti la pubblicazione su rivista anche se, con il probabile ricambio dei lettori, forse questi non ci avrebbero capito niente. Ma mi sono ritrovato a escogitare cose che io stesso non capivo granché.
– Ad esempio?
Miyazaki: Se assumiamo il divino come premessa, si può spiegare il Mondo. Ma io questo non riesco a farlo. Però avevo messo piede in àmbiti in cui non volevo addentrarmi, su cos’è l’essere umano, o su cos’è la vita.
In qualche modo posso farcela a comprendere il Mondo come insieme di conflitti o contraddizioni umani, ma una parte di me non è soddisfatta solo da questo livello.
Di conseguenza non c’è niente che io possa dire con certezza.
Per farmi girare la testa basta che pensi a cosa potrei fare se un Dio Guerriero dotato della sua forza distruttiva mi chiamasse “mamma”. Quindi la confusione di Nausicaä è la mia stessa confusione.
– Il Dio Guerriero, alla fine della pubblicazione, assolve un ruolo del tutto diverso che nel film…
Miyazaki: Di storie di incontri con una gigantesca creatura che ti conferisce dei poteri ce ne sono tante nella cultura popolare. Il branco di elefanti in Tarzan, o Super Robot 28. Lo si può spiegare dicendo che quel che compare mutando ogni volta forma è il desiderio di tornare a essere un’entità gigantesca, o l’impulso a crescere, ma di norma nelle opere popolari rimane tutto nell’ambiguità dicendo che l’importante è che anche questa forza gigantesca sia una forza benefica.
Questa forza in realtà è quasi sempre una cosa prodotta dalla tecnologia. La tecnologia, di per sé, penso sia neutrale, che sia innocente. Come le automobili. Sono davvero fedeli all’autista, sono devote.
È tranquillizzante che le macchine non abbiano un animo, ma di fatto gli esseri umani gliene conferiscono uno. Un animo fedele, un’innocente devozione, lo spirito di sacrificio: queste cose diventano l’essenza delle macchine, nello stesso modo in cui un cane agisce fedele agli ordini anche del più crudele dei padroni. L’idea che gli uomini conferiscano un animo alle macchine penso sia alla base delle “tre leggi della robotica” di Asimov. Il Dio Guerriero di Nausicaä, di per sé, come idea, è qualcosa di banale. Anche come aspetto si può trovarne delle radici in molti precursori. Ma nel momento in cui gli ho conferito l'”innocenza” in una forma visibile, ecco che è diventato qualcosa di ingestibile. Forse perché nel conferirgliela c’era un forte desiderio in me per questa innocenza…
– Dopo che il Dio Guerriero ha cominciato ad avere una coscienza, lo sviluppo narrativo è cambiato.
Miyazaki: Mentre disegno storie del genere, le idee che sorgono dentro di me o anche i frammenti indefiniti, non riesco a non pensare che per me significhino qualcosa. Anche se la struttura dell’opera andasse a rotoli, non posso dimenticare quei frammenti. No, non riesco a spiegarlo bene.
Penso che probabilmente ci siano persone che hanno raccontato molto prima di me e con parole più profonde, acute e appropriate le cose che io ho cominciato a pensare. E ho realizzato con dolore che io questa forza non ce l’ho.
– Si riferisce all’àmbito della religione?
Miyazaki: Mi chiedo se molte delle cose che si trovano nell’animo umano e si dice abbiano significato, ad esempio cose che comprendono le ideologie o le convinzioni, in realtà non siano presenti in natura…
Dentro di noi sorgono molti desiderî mondani che portano confusione ma se si desidera trascenderli per arrivare a stati più puri ho la sensazione che così si raggiungano i sassi circostanti o le gocce d’acqua, e questo fa paura.
Ma cose del genere, non appena le si rende in parole, diventano tutte delle detestabili religioni. Io, che quello stadio non l’ho affatto raggiunto, non posso proprio scrivere di queste cose. In altri termini, arrivo a provare più affezione per il Dio Guerriero che per gli esseri umani.
– Oppure si prova affezione più per gli Ohmu. E leggendo Nausicaä ci sono molti altri esempî del genere…

Ho perso le parole
Miyazaki: È perché mi sono infilato in questa situazione che non riesco a rimettere ordine alle cose. Penso sia come nel Dottor Stranamore, ma da una parte non capisco davvero se sia qualcosa di strano.
Anche molte cose che si ritengono specifiche dell’uomo, come ad esempio i sentimenti, magari sono condivise dal più semplice virus esistente al Mondo. E forse queste cose condivise si attivano solo all’interno della forma chiamata uomo, ma anche da tutto ciò, se non lo studio con un cervello un po’ migliore, non posso cavare nulla. Ma in caso contrario mi ritrovo a non poterle mettere in parole.
È questa la situazione in cui mi ero infilato. Ed ero costretto a infilarmici pur sapendo che rischiavo, perché ormai dieci anni prima avevo fatto comparire il Dio Guerriero. E non potevo dire: “L’ho fatto comparire ma me ne sono dimenticato” (XD)
Quindi, più che aver creato l’opera come un soggetto attivo, l’ho semplicemente seguita a posteriori…
– Sta dicendo che la storia si dipanava per conto proprio…
Miyazaki: Più che dipanarsi, me la trovavo lì davanti. E non si muoveva nella direzione che io avrei voluto. Sono stato costretto a forzarla perché andasse dove volevo io, anche se sapevo che era qualcosa di falso, e non ne vado fiero.
E giunti alla fine, la ragazza chiamata Nausicaä, con tutto quel che s’è caricata sulle spalle, sarebbe riuscita a tornare a una vita normale? Un personaggio come lei potrebbe riuscire a vivere senza impazzire? Forse non sarebbe potuta tornare come prima, ma l’unica cosa che so è che sicuramente avrebbe continuato a essere presente, ad affrontare le cose.
– Nel film si arriva a una sorta di conclusione, ma nel fumetto sin dall’inizio Nausicaä pone diversi punti interrogativi, che continuano a moltiplicarsi sempre più, alla fine restando tutti irrisolti.
Miyazaki: Proprio così. Mi sono trovato a non poter evitare domande che fin dall’inizio sapevo irrisolvibili, domande come cos’è la vita.
Il mio cane ha ormai sedici anni e mezzo, è decrepito e non sarebbe strano se morisse in qualunque momento. A causa della cataratta non vede quasi più, il naso funziona a stento e sente a stento da un orecchio solo. Queste sono le sue condizioni. Eppure vive.
Quando lo guardo nel muso mi dico che non sembra molto felice, eppure se provo a portarlo a passeggiare, fa un’espressione un po’ felice.
Mi chiedo cosa siano gli esseri viventi. Forse è qualcosa di perverso pensarlo con questa forza non quando entrambi i miei genitori sono scomparsi ma quando vedo il mio cane, ma penso che non è più il cane di una volta. I cerchi si diffondono sulla superficie dell’acqua e più si diffondono e più diventano deboli e anche se in effetti sono gli stessi cerchi hanno una forza diversa rispetto a quando sono stati generati… Magari detto in questo modo è comprensibile.
Si dicono tante cose sugli esseri viventi, ad esempio che sono i portatori dei geni egoisti ma alla fine questo non basta per comprenderli. Io so solo che probabilmente su cose del genere fin dal passato grandi uomini ci hanno pensato a lungo, ovvero credo abbiano percepito qualcosa quando cose come gli studî specialistici ancora non esistevano.
– Lei ha capito che ci sono tante cose che non capisce…
Miyazaki: Proprio così. Ho capito che relativamente al rapporto tra natura e uomo, o a ciò che di naturale l’uomo ha dentro di sé, non si può parlare in maniera semplice e superficiale. Tuttavia vivere è un metodo per mantenere questo “equilibrio superficiale”, quindi si può dire sia meglio farlo per il bene di questo equilibrio.
Ma se si parte da questo punto per approfondirlo, ecco che salta fuori il problema di dover affrontare la caotica oscurità dell’universo, e penso che riguardo a tali questioni, più che nella nostra testa, la chiave risieda in ciò che hanno pensato quegli uomini che nel passato si sono rintanati tra le montagne.
Ultimamente, se mi imbatto in discorsi religiosi che fino ad ora avevo ignorato, faccio un sobbalzo e mi dico: “Ah, parlano anche di queste cose”. Posso percepire che dietro dei discorsi semplici, come quelli toccati in libri di introduzione al buddhismo, si trovano incredibili esperienze ed idee. Ma se qualcuno mi chiede se li abbia fatti miei, be’, non è così, io mi limito a restarne scosso.
Nel momento in cui questi discorsi vengono trascritti, a quel punto già si comincia a pervertirli e a differenza di Shinran [monaco buddhista vissuto a cavallo tra il XII e il XIII secolo, fondatore della scuola della Vera Terra Pura n.d.Y.] o di altri, che li riprendono senza temere di pervertirli, io ho voluto evitare di metterli in bocca a Nausicaä, visto che mi sarebbero sembrate solo bugie.
Io per primo avrei voluto mettere ordine nelle cose e capirle un po’ di più, ma mentre procedevo a scrivere Nausicaä, al contrario non si metteva in ordine nulla, ovvero ho sentito che non avevo più parole.
E percepivo che la stessa Nausicaä avesse perso le parole, mi sentivo come se io non volessi esprimere tutte queste cose a parole, e nel momento in cui avessi messo in parole ciò che pensavo sarebbe diventato qualcosa di diverso.
– Poco dopo che Nausicaä decide che sarebbe andata avanti a mentire, la storia va incontro alla sua conclusione…
Miyazaki: Mi sono ritrovato a sentire che questa sarebbe stata la cosa più adatta per la mia protagonista. Ho solamente pensato che fosse questo il suo affetto verso le forme di vita che la circondavano.
Comunque sia, credere di essere nel giusto, e che vincendo distruggendo l’avversario arrivi la pace, questa è una bugia, almeno questo posso dire con fermezza che è una bugia. È vero che esiste il bene ed esiste il male, e anche che si può fare il bene. Però la persona che ha fatto il bene non è una persona buona, è semplicemente “qualcuno che ha fatto il bene”. Nell’istante successivo potrebbe anche fare del male, e se non pensassimo che l’essere umano è fatto così, allora daremmo solo giudizî sbagliati, sia che siano giudizî politici che su se stessi.

Il crollo dell’Unione Sovietica, più rapido di quello di Dorok
– Durante la pubblicazione di Nausicaä, sia all’estero che all’interno del Giappone ci sono stati grandi eventi, ma ce ne sono che l’hanno influenzata?
Miyazaki: Ciò che più mi ha sconvolto è stata la guerra civile in Yugoslavia.
– Cosa intende dire?
Miyazaki: Sono cose che pensavo non sarebbero più accadute. Sono posti dove erano state fatte tante cose terribili, pensavo ne fossero stanchi, e invece no. Ho capito che gli uomini sono creature che non se ne stancano, e ho appreso quanto fosse ingenua la mia idea.
– Per giunta, a differenza della Guerra del Golfo, è una guerra piuttosto di vecchio tipo.
Miyazaki: Quella del Golfo in un certo senso è comprensibile. Il governo dell’Iraq somiglia molto a quello giapponese del periodo dei militari. Le truppe vengono mandate in isole o deserti terribili, non gli viene inviata neanche l’acqua, neanche da mangiare, e gli viene detto di “arrangiarsi”. Vedere un esercito come quello è stato duro perché era come vedere l’esercito giapponese, ma in Yugoslavia le cose sono diverse.
Ad aver dato il via a quelle cose penso sia stato un pugno di banditi. Ma non li si è potuti fermare. È proprio come quando i nazisti salirono alla ribalta, molti di quelli che vi assistettero dissero che erano dei banditi, ma a un certo punto crebbero raggiungendo una forza inarrestabile.
Ad esempio, se si guardano solo i notiziarî della CNN si può arrivare a pensare che sia la Serbia a essere straordinariamente cattiva. Ma di fondo c’è qualcosa di sbagliato in questo. Nel cristianesimo c’è un palese dissidio tra l’Europa occidentale e l’Ortodossia. Per questo è comprensibile che la Serbia veda con sospetto un intervento NATO. Piuttosto, si sentirebbero sollevati se si muovesse la Russia.
Però sarebbe sbagliato anche dire che sia la Serbia nel giusto. Su entrambi i lati sono dei pazzi, ed entrambi stanno facendo un sacco di cose terribili. Nella guerra può anche esserci una giustizia, ma una volta iniziata qualunque guerra degenera.
– Anche Nausicaä ha detto che “non esiste la giustizia”.
Miyazaki: La guerra come questione mi piace, quindi leggo diversi libri al riguardo (quindi mi viene spesso chiesto se mi piaccia la guerra, e allora ribatto: “Pensi che agli scienziati che studiano l’AIDS, gli piaccia?”), ma ho imparato che la mia cognizione della Storia era decisamente ingenua.
– Cosa ne pensa del crollo dell’Unione Sovietica, che ha causato la guerra civile in Yugoslavia?
Miyazaki: Era proprio il periodo in cui, nella pubblicazione di Nausicaä, disegnavo il crollo di Dorok. Anche se ero io l’autore, mi chiedevo se un impero come Dorok potesse crollare così facilmente, ma visto che l’Unione Sovietica è crollata ancor più facilmente, sono rimasto senza parole.
Da una parte un paese crolla e dall’altra la gente che ci vive continua come sempre con la propria vita, e questo accade contemporaneamente e senza problemi. Mi sono sempre chiesto, quando è crollato l’Impero Romano d’Occidente, cosa sarà successo allora, cosa sarà cambiato per la gente che ci viveva, ma col caso dell’Unione Sovietica in qualche modo l’ho capito.
– Capisco, è stata una coincidenza incredibile…
Miyazaki: Quindi, per il crollo dell’Impero di Dorok, c’erano un sacco di altre cose in più che avrei dovuto disegnare, ma in una pubblicazione su rivista, c’è la triste realtà dei limiti posti alla creatività da sedici pagine al mese, e quindi ho lasciato perdere un sacco di cose. Perché quel paese è crollato, e tanto per cominciare cos’è un paese, che tipo di sistema era, perché quel sistema ha cessato di funzionare: pensavo che avrei dovuto disegnare queste cose, ma intanto non ne avevo il tempo, e così nel fumetto l’Impero è crollato per conto proprio, e nel Mondo reale anche l’Unione Sovietica…

Nausicaä ha cambiato il mio modo di pensare
Miyazaki: Nel periodo in cui stavo cercando di finire Nausicaä, ho avuto un modo di pensare che, per alcuni, forse potrebbe sembrare una conversione. Questo perché ho decisamente abbandonato il marxismo. Ho dovuto abbandonarlo, ho deciso che era un errore, che anche il materialismo storico era un errore, e che non dovevo vedere le cose in quel modo, ed è stato un po’ doloroso. Ancora adesso ogni tanto penso che sarebbe stato più comodo restare come prima.
Non è che mentre scrivevo ci sia stato un cambiamento drammatico o una feroce battaglia, però non riuscivo a risolvere diversi dubbî che mi portavo dentro.
Questo palese cambiamento nel mio modo di pensare, più che venire da un cambiamento nella mia posizione all’interno di questa società, ho l’impressione che forse dipenda dal fatto che ho scritto Nausicaä.
Ad esempio, all’inizio avevo esitato già solo a far di Nausicaä la figlia del capo tribù Jhil… ovvero, una principessa. Avevo previsto che la cosa, cioè che Nausicaä appartenesse a una classe elitaria, sarebbe stata notata, ed ero anche pronto a dar battaglia teorica al riguardo.
Ma ora di questo non mi interessa nulla. Può essere nata ovunque. E non mi interessa più dibattere di queste cose. Una persona stupida resta stupida in qualunque classe nasca e una brava persona resta tale in qualunque classe nasca. Al Mondo non esistono persone giuste o sbagliate, ma solo brave persone o persone che non sono brave, persone con cui voglio o non voglio diventare amico. Ho smesso di guardare le cose da un’ottica di classe. È una bugia il fatto che i lavoratori sono nel giusto perché sono lavoratori, le masse fanno un sacco di stupidaggini, e non riesco a fidarmi dei sondaggi d’opinione.
E così, con tutte le cose di cui sopra, sono solo tornato a un punto di terribile ovvietà. Non è che abbia ottenuto chissà quale illuminazione, sono cose che sono state già dette un’infinità di volte, e se penso che devo tornarci di nuovo ne percepisco tutta la tristezza, eppure penso che è qualcosa che devo accettare. Voglio assumermi la responsabilità per il modo in cui vedo le cose.
Quando ho visto per la prima volta un filmato di Máo Zédōng che rispondeva alle acclamazioni di una grande folla in piazza Tiānānmén (sarà stato alla fine degli anni Cinquanta) mi sembrava avesse un viso davvero brutto e di cattivo auspicio. Ma siccome si diceva avesse un carattere affettuoso e magnanimo, ho pensato seriamente che di sicuro non stava bene per caso o non lo stavano riprendendo come si deve (XD). Ma a pensarci dopo avrei fatto meglio a fidarmi dell’impressione iniziale di cattivo auspicio.
Ma questo lo faccio diverse volte: in qualche modo sono andato avanti distorcendo con le mie stesse idee ciò che percepivo. Ma ho smesso di fare anche questo. Per dire, anche i politici attuali li giudico in base solo all’impressione che mi danno.
– Con l’intuito…
Più che intuito, è la percezione che le persone siano delle brave persone. Anche se uno come politico è un incapace, penso che resti una brava persona. Tanto, visto che non si possono avere chissà quali aspettative, allora sono meglio quelle che sembrano brave persone: sono arrivato al punto in cui intanto l’unica è vedere le cose in questo modo. In altri termini, sono tornato a essere uno stupido.
– Non è che invece di aver fatto un ritorno, è salito per una scala a chiocciola?
Miyazaki: Però ho comunque l’impressione solo di girare in tondo… Ad esempio, c’è un movimento conservazionista chiamato “Movimento per la foresta di Totoro”, un movimento portato avanti usando i personaggi di un film fatto da noi, ma io non è che li sostenga perché loro sono nel giusto. Le persone di quel movimento sono davvero delle brave persone. Agiscono in maniera davvero esemplare.
Sono persone a cui, molto prima che cominciassero questo movimento, piacevano le colline di Sayama, e se avevano un po’ di tempo ci facevano delle passeggiate, osservavano le piante, osservavano gli uccelli, e si sono chiesti se non si potesse far qualcosa per quel posto. Sono persone fatte così, e per questo ho lasciato che usassero pure i personaggi. Fossero state tipo dei fascisti dell’ecologia, allora mi sarei davvero tirato indietro.
È in questo modo che, di recente, frequento le persone non perché siano nel giusto o no, ma perché sono delle brave persone. E così il mio Mondo si è fatto via via più ristretto. (XD)

“Risolvere” i problemi dell’ambiente pulendo un fiume nel quartiere
– E riguardo al Giappone per cui, prima di iniziare Nausicaä, provava disgusto?
Miyazaki: Ormai ho superato la fase in cui, dopo lo scoppio della Bolla, pensavo “ben vi sta”, e ora mi sento sollevato. Non è stato risolto alcun problema ma è un muro che è crollato e ora molte cose che prima stavano fuori stanno entrando.
La carenza di riso è una cosa da nulla [riferimento a degli scarsi raccolti di riso subiti dal Giappone a inizio anni Novanta, in seguito ai quali è stato costretto a importarne dall’estero; n.d.Y.]. Non è che la gente rischi di morire di fame. Anzi, ho considerato che il potere economico è qualcosa di tremendo.
– Intende dire che se desideriamo qualcosa, la possiamo comprare.
Miyazaki: Se fosse successo negli anni Quaranta, sarebbe stato un problema enorme, ma tutto si è risolto con qualche lamentela sul riso tailandese che non è buono, e allora ho considerato che abbiamo un potere latente tremendo. Al contempo ho pensato che un paese privo di potenza enonomica faticherebbe a sopravvivere…
Mi sono stufato dei dibattiti sull’agricoltura giapponese. E lo dico a rischio di essere frainteso.
Per caso, in un’altra occasione, ho conosciuto dei contadini che continuano a coltivare il riso con l’agricoltura biologica, senza l’uso di pesticidi e ho fatto un patto con loro, per il mio riso mi rivolgerò a loro, e non importa se i prezzi si alzeranno negli anni di cattivo raccolto. E così il mio problema dell’agricoltura è risolto (XD).
Ovviamente con questi metodi non si risolve nulla, ma capisco l’irritazione per titoli sensazionalistici come “l’agricoltura giapponese è stata sconfitta”, ma io non ne posso più, al pari di chi scrive che “il cinema giapponese è morto”.
Ho l’impressione che le cose stiano diversamente. Che non sia una semplice questione di sconfiggere o vincere. Mi fa solo arrabbiare quando si dice, nei dibattiti sui problemi agricoli, come dovrebbero essere fatte le cooperative. Mi dico che il problema va risolto a livello estremamente individuale. Non è un metodo lodevole. Ma intanto faccio così… Certo, il discorso cambia se ci fosse chi muore di fame.
E dato che ultimamente ormai penso le cose solo in questo modo, anche per il problema ambientale, visto che nel mio circondario c’è chi pulisce un fiume del quartiere, quando ho del tempo libero partecipo, e penso vada bene così. Anche questo, poi, non risolve nulla alla radice. Ci limitiamo a raccogliere le borse di plastica lasciate per terra, cose così.
In altri termini, ci sono troppe cose a cui non possiamo venire a capo se trattate in maniera generale. La gente non riesce a risolverle perché c’è una frattura tra i discorsi particolari e quelli generali. Però, occasionalmente la gente riesce a essere soddisfatta da quelli particolari. Ed è questo ciò che attualmente apprezzo di più io.
Se visto dall’alto di una montagna, con uno sguardo generale, o da sopra un aereo, penso che l’approccio particolare non funzioni, ma se si prova a scendere in basso e si segue la strada per una cinquantina di metri, allora si può pensare sia una buona strada, e se in quel momento c’è bel tempo e il Sole splende, ci si sente pieni d’energia, e si sente che in qualche modo si possa far qualcosa. E mi chiedo cosa significhi che il modo di pensare cambi così a seconda del posto da cui fissiamo il nostro sguardo.
Quindi, piuttosto che far grandi discorsi dai palchi di simposî o conferenze, trovo più adatto per me fare cose come quelle dette sopra. E se posso parlare a ruota libera, per quelli che intanto guidano una macchina che inquina e dicono che smetteranno di usarla se lo fanno tutti, ma intanto la guidano sin all’ultimo momento, io allora dico che mettano la benzina a trecento yen al litro per chi la vuole usare veramente (XD).
– Così diminuirebbe il numero di automobili.
Quando sento discorsi tipo “Se la benzina fosse più economica, sarebbe un bello stimolo all’economia giapponese”, mi arrabbio. La macchina dovrebbe usarla solo chi è costretto a farlo. Guidare tutti l’auto non è né un progresso né una forma di eguaglianza per l’umanità.
Attualmente c’è un problema, quello della massificazione di qualunque cosa. Anch’io dovrei far parte della massa, e se vedo una foto dello Zeppelin penso che avrei voluto salirci a bordo, ma se fossi vissuto direttamente in quel periodo, penso che probabilmente sarei stato tra quelli che non potevano salirci, eppure non penso sia meglio creare un’epoca in cui tutti possano salire a bordo di un dirigibile.
Entro quest’anno voglio mettere della terra sul terrazzo di questo edificio (lo Studio Ghibli) e coltivare delle piante. Anche questo non risolve niente ma piuttosto che arrabbiarsi è meglio fare qualcosa. In questo modo cambieranno un po’ anche le spese per la climatizzazione. Ci sarà tanta gente che dirà che cose del genere non portano grandi soluzioni, e in effetti è così, ma io penso che se posso fare queste cose, allora le voglio fare.
C’è un fotografo che ha creato un movimento per far venire in Giappone i bambini vittime delle radiazioni di Chernobyl per farli curare. Soggiornando per un mese in Giappone, essendo buone anche le condizioni dell’alimentazione, riprendono parecchia salute. Ad esempio un bambino la cui crescita s’era arrestata ha ripreso a crescere.
Il fotografo sa che quel bambino, passato un mese, una volta ritornato da dove viene, tornerà come prima ed è tormentato dall’idea che, anche se ne porta qui qualche decina, non è di alcun utilità per le altre decine di migliaia di bambini. Ma io penso che vada bene così (a costo di rischiare di essere frainteso), perché questo è quel che una persona può fare. E se mi si dice che non ha senso perché quel bambino morirà comunque, be’, non è così. Tutto quel che conta forse è ciò che hanno provato quei bambini in quel momento. Ma non appena metto questa cosa in parole, probabilmente causerei un qualche grosso fraintendimento. È qualcosa di complicato. Se si giudicano le cose in base ai risultati, molte di quelle cose diventano complicate. Se si dice che “quel che conta è il momento presente”, si rischia di essere presi per quelli che vogliono vivere alla giornata, e per questo è complicato. È davvero complicato metterlo in parole.
– Le parole sono facilmente interpretabili. Qualunque cosa si dica c’è chi ci trova degli errori.
Ci sono parecchie cose che non possono essere messe in parole. Anche per il fatto che io dico che basti pulire un fiume, c’è tanta gente che mi appiccica l’etichetta di ecologista, ed è per questo che…
– Lei dice queste cose apposta per provocare.
Miyazaki: Proprio così. In realtà non voglio dir nulla. Basterebbe tacere e agire. Meglio far ciò che si può fare con la gente del proprio quartiere.

Lasciare come sono le cose che non si capiscono
– Dopo la realizzazione del film di Nausicaä, mentre proseguiva la pubblicazione del fumetto, ha realizzato i film d’animazione di Laputa, Totoro, Kiki e Porco Rosso. Sono di tipo diverso rispetto a Nausicaä.
Miyazaki: Ho l’impressione di essere riuscito a realizzarli perché nel frattempo disegnavo Nausicaä. Ero quest’ultimo la cosa più pesante. Era duro tornare al Mondo di Nausicaä, non volevo tornarci. Anche se disegnavo vivendo nel nostro Mondo, era difficile far ritorno alla società mentre disegnavo cose del genere.
– Si staccava sempre più dalla società?
Miyazaki: Sì. Questo, quando mi trovavo sul luogo di lavorazione di un film, creava una gran confusione. Mi distraevano anche le più stupide delle cose quotidiane, cose estremamente basse: “Perché quello lì non lavora come si deve?”, “Datti una mossa e trovati una moglie”, dicevo cose così (XD). E intanto stavamo sulla corda, pensando se avremmo o meno avuto degli spettatori.
E finito un film, mentre avrei dovuto riposarmi senza pensare a niente, c’era Nausicaä ad attendermi. E questo non mi piaceva. Giravo intorno per sei mesi e poi, visto che non avevo scelta, cominciavo a disegnare. Per questo, come ho detto anche prima e detto sinceramente, fare i film era una specie di modo per scappare da Nausicaä.
Non è che abbia fatto delle cose leggere perché dall’altra ne avevo di pesanti, ma penso che forse, se non avessi continuato a scrivere Nausicaä, mi sarei sbizzarrito per inserire anche nei film cose pesanti. Si tratta solo di come vedo le cose adesso a posteriori, ma al tempo non è che le pensassi così, ho fatto quei film perché pensavo fosse bello farli.
Siccome Nausicaä non l’ho disegnato pianificandolo, probabilmente non metterò più mano a qualcosa del genere.
– Quali sono le sue previsioni per il futuro, ora che ha finito Nausicaä?
Miyazaki: Il fatto che abbia finito Nausicaä non significa che le cose siano finite, che siano giunte a una conclusione. Le cose continuano, ma siamo comunque giunti a un punto in cui dire: “Da qui in avanti ci conosciamo meglio a vicenda”. In altri termini, credo che ci troviamo almeno allo stesso punto di partenza in questa società contemporanea così difficile da capire.
Anche in futuro succederanno un sacco di cose stupide ma prevedibili, ma ci sarà anche lo sforzo per affrontarle. E questo si ripeterà tante volte, ma io ho cercato di mettere un punto fermo nel momento in cui questo riuscivo a vederlo.
Me ne sono reso conto mentre disegnavo: il ruolo di Nausicaä in realtà non è quello di diventare una leader, una persona che guidi gli altri. Il suo ruolo è quello di una rappresentante che continua a scrutare le cose, una sorta di medium.
E poi, sono le persone che confidano in lei quelle che muovono realmente le cose. Anche se questo schema, dal punto di vista della struttura di una storia classica, non è molto coerente. Anche questo mi ha causato problemi.
Per ora si è giunti a una conclusione, ma ci sono un sacco di questioni, comprese quelle di quest’intervista, in cui devo far ordine prima che esca l’ultimo numero dell’edizione in volume. Ma io ho intanto deciso di metterci una fine, lasciando come sono le cose che non capisco.
Altrimenti non potrei mai diventare un anziano, e dovrei lasciare incompiuto quel lavoro che ho cominciato all’inizio dei miei quarant’anni. Di fatto, nel momento in cui ho completato la pubblicazione, mi sono sentito tremendamente anziano.
Però, non è affatto una conclusione. Per questo non ho provato un senso di liberazione, e questo è un problema. Mi piacerebbe poter dire che mi sento come se mi fossi tolto un peso di dosso. Ma se mi chiedo se mi sento meglio, be’, non è così. Se mi si chiede se mi sento meglio non dovendo più disegnare, è semplicemente successo che quei lavori che come difficoltà sinora erano al secondo posto, ora sono stati promossi al primo posto (XD).
– In ogni caso è chiaro che ci sono ancora un sacco di questioni da affrontare.
Miyazaki: Proprio così. E Nausicaä lo sa meglio di chiunque altro.

La processione funebre di K


Un sontuoso bianco e nero

Il fumetto lo conoscevo già, anche se per sprazzi, per frammenti.
Mi ci ero imbattuto anni fa in un volumone (oggigiorno fuori commercio) edito dalla tedesca Taschen, titolato programmaticamente Manga, che raccoglieva esempî di autori giapponesi, dai più commerciali ai più audaci, all’avanguardia. E le poche tavole di Kusumoto Maki appartenevano senza dubbio a quest’ultima.
Un sontuoso bianco e nero in cui si materializzava una cerimonia funebre: bastava poco per accendere l’immaginazione, per farla volare e pensare con esaltazione a un intero fumetto disegnato con la stessa raffinatezza di quelle due tavole.
Al cimitero
E ora ho avuto il piacere e l’onore di lavorare, traducendolo, proprio La processione funebre di K, in uscita quest’anno per Star Comics.

La processione funebre di K

La storia sembra scritta senza una previa pianificazione, sembra partire da uno spunto casuale: il ritiro dei Morcufara, elusivi oggetti che si manifestano negli appartamenti di uno stabile, oggetti dalla funzione ignota.
Ma ecco che, terminato il prologo sospeso nella sua oniricità, si aprono le pagine della Processione funebre di K propriamente detta.
Qui incontriamo ancora gli stessi personaggi del prologo, implicati a vario titolo, e solo leggendo si scoprirà come, con la sparizione e morte di K, l’eponimo della storia. In ogni capitolo l’autrice ci porta vicini a scoprire la verità nascosta, per poi togliercela di sotto il naso con beffarda maestria. Il dipanarsi della vicenda procede per accumulo, facendoci conoscere, uno dopo l’altro, i personaggi dello stabile e le loro particolarità e idiosincrasie, personaggi ora completamente surreali, bizzarri (ad esempio la figura del macellaio), ora traversati da sottili venature in cui si intravvedono dolore e tragedia (ad esempio la donna dei manichini).Il macellaioAl termine di questa lunga salita in cui la storia viene via via composta, il mistero della morte di K viene poi risolto con un processo di smontaggio e decostruzione, che va a coinvolgere a vario grado tutti gli inquilini del condominio. Resta, sullo sfondo e in primo piano, dominante nella sua assenza, la figura dello stesso K, la cui enigmatica presenza non viene sciolta dalla tragedia finale ma, anzi, dolorosamente ribadita.
A ribadire la natura aperta dell’opera si aggiungono i capitoli extra del volume, che vanno a incastrarsi nella storia principale, ora rivelando retroscena sulla figura dello stesso K, rimpolpandone la caratterizzazione e restituendocene la tridimensionalità, ora invece presentando nuovi enigmi. L’autrice procede sempre alternando una costruzione per accumulo, che va a formare una struttura narrativa solida, all’esplorazione di spunti estemporanei che minano la possibilità della stessa solidità, facendo correre la sua opera sul sottile crinale che divide sogno e realtà, visione e materialità.
Di questi ultimi capitoli non si può non citare, come particolarmente riuscito e toccante, L’ascesa al cielo di G, che va a intessere con la storia principale un gioco dialettico di riflessi e riflessioni sulla natura effimera della felicità, specie quando questa si intreccia con una realtà di esclusione ed emarginazione.

Estetica e sperimentazione

Nel prologo che precede La processione funebre di K, l’autrice lavora componendo tavole le cui singole vignette si susseguono quasi fluttuando nel vuoto di sfondi ora neri ora bianchi, inquadrando singoli dettagli e intrecciandosi con la verticalità dei testi. Fanno da contorno disegni fotorealistici di scale a chiocciola, lumache silenziose, meccanismi a ingranaggi. È una composizione della tavola fortemente sperimentale che ricrea atmosfere sospese e silenziose.

Maggiormente misurata e convenzionale la costruzione di La processione funebre di K vera e propria. Ora il centro focale è la presenza dei personaggi. I fondali si fanno quasi assenti, i volti e i corpi si stagliano quasi sempre privi di ombreggiature contro campiture bianche. Il tratto, sottile, alterna stilizzazioni di volti e mani con un indugio sul dettaglio dei vestiti, delle capigliature, specie sui personaggi più bizzarri.

La tensione sperimentale riemerge in L’ascesa al cielo di G, singolarmente ricco di testo, sempre in rapporto alla sua scarna presenza nei capitoli precedenti. Qui il fumetto assume quasi una valenza di racconto illustrato, in cui i disegni tendono a sottrarsi all’occhio del lettore, quasi a sprofondare nel bianco che ancora domina la tavola.

In intro., breve capitolo che, come dice il titolo, ci permette di dare un’occhiata agli eventi che precedono La processione funebre di K, l’autrice lavora sulla varietà delle inquadrature producendo un ritmo sincopato, mentre il singolare uso del colore rosso insinua tra le tavole l’atmosfera di decadenza e disperazione, introducendoci nella psiche instabile del protagonista.

Tradurre Kusumoto Maki

Non c’è molto altro da dire.
Inaspettatamente i testi dell’autrice non ardiscono a chissà quali vette di complessità, tutt’altro. Punteggiano il disegno e lo accompagnano in maniera contenuta e misurata.
L’autrice predilige un linguaggio semplice, asciutto, che a tratti va a frantumarsi in colloquialismi, frasi interrotte e poi riprese.
Qui più che mai la traduzione deve trattenersi, deve resistere alla tentazione (sempre presente in ogni traduzione) di aggiungere dei sovrappiù che riempiano gli eventuali vuoti e sottintesi degli originali.
Tradurre Kusumoto Maki implica un lavoro di sottrazione, che riduca al minimo la frase anche nell’italiano, per restituire anche nella nostra lingua gli scarni dialoghi che, nel testo giapponese, sbocciano e splendono come fiori perduti negli spazî monocromi del fumetto.

Arrietty e il Mondo segreto sotto il pavimento – intervista a Miyazaki


Finalmente, dopo tanto tanto tempo, ho trovato un momento per tradurre qualcosina per conto mio!
Ne ho approfittato per tradurre un’interessante intervista al maestro Miyazaki su Arrietty e il Mondo segreto sotto il pavimento, di cui ha curato la sceneggiatura, per la regia di Yonebayashi.
Spero di non aver fatto (troppi) errori di traduzione…
Al solito, l’ho caricata sul mio sito-deposito di traduzioni. Ma per darle maggior visibilità, la pubblico anche qui sul blog.

Buona lettura!

***

La seguente intervista è tratta dalla rivista: Movie Pia, Tōkyō: Pia Kabushiki Kaisha, 2010, pp. 42-48.
La traduzione è stata realizzata da Yupa dal 29 Aprile al I Maggio 2019, rivista il 2 Maggio 2019.
L’ordine cognome-nome rispetta l’originale giapponese e non è ribaltato come invece avviene di consueto (quindi Miyazaki Hayao e non Hayao Miyazaki).
La traduzione è stata eseguita senza alcun fine di lucro, con l’unico scopo di divulgare informazioni in lingua italiana sull’animazione giapponese, altrimenti irraggiungibili, ed è liberamente distribuibile. In caso di citazione si prega di non alterare il contenuto. In caso di distribuzione e/o utilizzo si prega comunque di avvisare anticipatamente il traduttore.

Da Nausicaä della Valle del Vento ad Arrietty e il Mondo segreto sotto il pavimento.
Intervista a Miyazaki Hayao.

In Arrietty e il Mondo segreto sotto il pavimento Miyazaki Hayao si è occupato del progetto e della sceneggiatura. Una modalità simile di partecipazione a un’opera l’aveva già avuta con I sospiri del mio cuore (1995), girato da Kondō Yoshifumi, dove s’era occupato di produzione esecutiva, sceneggiatura e storyboard; tuttavia, la realizzazione o meno degli storyboard, che danno vita alle immagini delle scene, nell’animazione fa una grande differenza. In un certo senso, questa volta Miyazaki ha tracciato la via per la parte teorica dell’opera, per il suo corso e la sua storia, lasciando al regista Yonebayashi Hiromasa tutto ciò che riguarda l’espressione visiva. Che tipo di film ne è scaturito? Al momento di questa intervista, Miyazaki Hayao non ha visto l’opera completa. Ci concentreremo quindi sul suo pensiero in quanto autore del progetto e sceneggiatore. Inoltre, al contempo, in occasione dell’uscita in Blu-ray di Nausicaä della Valle del Vento, effettivo punto di partenza per le opere Ghibli, ne abbiamo approfittato per chiedere a Miyazaki del quarto di secolo trascorso insieme allo studio Ghibli e del futuro dello stesso.

Arrietty volevo sin dall’inizio che lo girasse un giovane regista
Stando a un commento di Suzuki Toshio, fatto al tempo dell’annuncio della produzione del film, lei aveva pensato quasi quarant’anni fa il progetto di una versione in animazione de Gli sgraffignoli, il libro su cui si basa il film.
– Il libro l’avevo letto ben prima. Quando non avevo ancora venticinque anni. A quel tempo mi trovavo alla Tōei Dōga, ma il livello delle opere che realizzavamo era sin troppo basso. Avrei voluto realizzare opere un po’ più valide ed ero in cerca di spunti. Fu così che mi imbattei in quel libro. Quel che aveva di originale è che Arrietty ritiene che loro siano i protagonisti del Mondo, ma in realtà si tratta di gnomi sull’orlo dell’estinzione. C’è una rivoluzione copernicana quando viene a sapere che gli esseri umani sono di numero di gran lunga superiore a loro. E questo glielo racconta un bambino umano in maniera piuttosto crudele. E poi c’era una bella illustrazione del bambino che vuole che Arrietty gli insegni a leggere che mi aveva lasciata una forte impressione. A quel tempo però io ero ancora un dipendente novellino e anche se avessi presentato un progetto del genere non sarebbe mai stato accettato. Con Pak (Takahata Isao) parlavo di voler presentarlo quando avessi avuto una qualche occasione.
Quindi voi due abbandonaste la Tōei Dōga e vi spostate alla A Pro. In questo periodo avevate realizzato il progetto per Pippi Calzelunghe, che però era finito in un cassetto. Modificato, avrebbe dato vita a Panda! Go, Panda! (1972). Quello a cui lei e Takahata miravate al tempo erano opere d’animazione che rappresentassero una bizzara quotidianità. È tra queste che presentaste Gli gnomi sotto il pavimento?
– Be’, alla A Pro i progetti non venivano accettati se non erano un po’ più umoristici e fracassoni. Da questo punto di vista credevo di aver dato forma a un progetto che rielaborava abilmente l’opera originale, ma di base loro dubitavano di noi. Pensavano che gente come noi, più che considerare gli indici d’ascolto, complottasse per realizzare ciò che voleva fare. Ed era un’idea abbastanza corretta (XD). Sfortunatamente il progetto venne cestinato.
Quand’è che, in seguito, pensò di realizzare quel progetto?
– In seguito realizzamo diverse opere d’animazione che rappresentavano la quotidianità, e mi dicevo che l’epoca degli gnomi sotto il pavimento fosse finita. Tuttavia, di recente, guardandomi intorno mi sono reso conto che ora c’è un sacco di gente che vive in maniera precaria come loro. Fino a poco fa, anche i membri dello staff dicevano: “La vita è qualcosa di garantito e in qualche modo ce la si può fare anche senza contare sulla pensione”, ma non sono passati nemmeno dieci anni che hanno cominciato di colpo a fare i conti sulla pensione, cominciando a dire sciocchezze tipo “Chissà fin quando riuscirò a lavorare” (XD). Ho avuto come l’impressione che vivessero rubacchiando le cose, come gli gnomi. Il Giappone, come nazione, ha un debito pubblico spaventoso e vive rubacchiando le cose su scala gigantesca. E allora mi sono detto che forse era tornata l’epoca di Arrietty. E poi, questa volta, mi trovai a dover realizzare il progetto prendendomene tutta la responsabilità, e così misi me stesso con le spalle al muro.
Ho sentito dire che questo film è stato progettato sin dall’inizio per venir girato da un giovane.
– Proprio così. In passato mi era stato chiesto da dei giovani di far realizzare loro determinate cose, e credevo sarebbero saltati fuori progetti che avrebbero potuto portare a un nuovo tipo di film, ma nei venticinque anni dall’inizio dello studio Ghibli questo non è mai successo. Anche se mi venivano presentati dei progetti erano cose da dilettanti o solo progetti che mi facevano sbottare: “Non ha senso farli”. Tuttavia, quando ci ritrovammo a dover continuare a fare un qualche film, misi me stesso con le spalle al muro e mi risposi: “Forse ora è il momento di Arrietty”.
E così il progetto è partito, e si è arrivata alla selezione del regista. Mi hanno detto che ad aver raccomandato Yonebayashi come regista è stato Suzuki.
– Si trattava di un’idea coraggiosa, ma ho pensato che forse poteva andare bene. Relativamente all’animazione lui aveva incominciato ad apprendere cose molto interessanti. Quando era appena entrato nello Studio Ghibli, se pioveva chiudeva il lucernario solo sopra di sé e gli altri li lasciava spalancati. Mi faceva pensare che da tizio del genere non se ne potesse ricavare nulla (XD). Ma un po’ alla volta ha acquisito le capacità diventando un membro dello staff molto affidabile. Dovevamo scegliere un regista, ma nello Studio Ghibili non c’era personale valido. Ci sarebbe stata anche la possibilità di chiamare un regista esterno, ma questo finora non aveva quasi mai funzionato. L’unica era sceglierlo all’interno dello studio. E quando, a questo punto, fu citato il nome di Maro (Yonebayashi Hiromasa) la cosa mi incurosì e pensai: “Interessante, proviamo questa scommessa”. Lo trovai che non voleva farlo, ma io gli dissi qualcosa tipo: “Intanto provaci!” (XD). E visto che alla fine disse che ci avrebbe provato, la sceneggiatura e la costruzione del Mondo del film li avrei fatti io, e avrei affidato interamente a lui la regia. Se gli avessi fatto fare tutto a partire dall’opera originale non avremmo proceduto granché. E c’era anche poco tempo.
Ad aver cambiato l’ambientazione dall’Inghilterra dell’opera originale al Giappone è stato lei, vero?
– L’ho trasformata in una storia del Giappone contemporaneo, e non della vecchia Inghilterra. Però, se intorno al posto ci fossero stati dei condominî, con delle macchine che correvano e con un piccolo giardino, questo sarebbe stato un po’ angusto, per questo ho deciso per una grande e vecchia magione in stile occidentale e un ampio giardino selvaggio. Anche a Tōkyō rimangono ancora dei posti del genere. Ho pensato che una casa giapponese tutti la conoscono e sarebbero in grado di disegnarla, solo che alla fine mi sono reso conto che, dell’altra, nessuno sapeva nulla (XD). Nessuno aveva mai provato a sbirciare sotto una veranda, nessuno conosceva la struttura dell’edificio. Però, per informarsi non c’era bisogno di andare all’estero, e quindi in qualche modo si sarebbe risolto il problema. Al contempo avevo la certezza che attualmente non si debba fare un film ambientato all’estero con protagonista una ragazza straniera. Però il nome Arrietty è affascinante e non c’era bisogno di nipponizzarlo forzatamente in Ariko. Quindi la sua famiglia si sarebbe persa in Giappone generazioni prima venendo dall’Inghilterra in groppa a un uccello. E questo gnomi li avremmo fatti vivere sotto il pavimento di una casa in Giappone. Così concepii il progetto attuale.
In modo da sovrapporre gli gnomi alla grave situazione del Giappone odierno?
– Ci sono persone che, partendo dall’idea di vivere prendendo le cose a prestito, adorerebbero analizzare le cose in tal modo, ma anche senza spiegarlo così, è qualcosa che chiunque può capire facilmente. In questo film ciò che conta è se sia possibile rappresentare l’interazione tra un ragazzo umano e una gnoma di nome Arrietty sino al suo limite, senza le oscenità tipiche dei prodotti per otaku, e per giunta dotandola di una sua sensualità (non nel senso inappropriato del termine). Dissi che è come ne Il cuore di Toma.
In altri termini, l’amore proibito tra due ragazzi di collegio rappresentato in Il cuore di Toma di Hagio Moto. E questo vale anche per l’amore tra un umano e una gnoma di questo film?
– Solo che Maro mi ha detto “Di queste cose io non ci capisco niente” (XD). Quel che io volevo dire è che non bisognava rappresentare Il cuore di Toma con immagini vivide. Al suo tempo questo fumetto aveva funzionato grazie ai disegni della Hagio. La sensualità, ad esempio nella scena in cui Shō protegge Arrietty nascondendola dietro di sé, sta nel modo in cui il ragazzo percepisce lei. Quando deve proteggere con le proprie forze questa creatura piccola e calda, il ragazzo agisce in tal modo. È a questo che si deve pensare. Ciò che più mi preoccupava è se si sarebbe riusciti a rappresentare Arrietty come una creatura umana e non come un modellino tridimensionale di quelli amati dagli otaku. È questo il punto, secondo me.
Nelle bozze Arrietty ha quattordici anni, mentre Shō ne ha dodici, giusto?
– Nel libro lui ha cinque anni. Ma se fosse un bambino troppo piccolo avrebbe quella crudeltà per cui schiaccerebbe lei anche solo muovendosi. Anche se avesse avuti cinque anni si sarebbero potute mostrare le sottigliezze di ciò che significa essere bambini, ma sarebbe stato difficile darvi forma, per questo ho reso l’età dei due più vicina.
Stando a quanto ha detto il regista Yonebayashi, lei gli ha affidato diversi compiti insieme con la sceneggiatura, vero?
– Gli ho assegnato dei compiti ma non ho la minima idea di quanti sia riuscito a portarne a compimento. Una cosa di cui abbiamo parlato io e Pak una volta, quando volevamo fare questo film, è ad esempio come i piccoli spazî diventino spazî giganteschi. Ad esempio i soffitti delle case degli esseri umani, quando vengono visti dal basso dagli gnomi, sprofondano nell’oscurità e non si riescono a vedere. Dicevamo fosse tipo guardare dal basso il Tōdaiji [nome di un celebre tempio buddhista in Giappone; n.d.Y.], e mi chiedo se una cosa del genere si sia riusciti a renderla.
Ad esempio, la scena in cui “Arrietty tramite l’edera si arrampica sino alla stanza di Shō al primo piano”, rappresentarla in animazione è estremamente difficile.
– La regia, nell’animazione, richiede capacità d’immaginazione, ma se nella sceneggiatura si scrivono cose troppo sofisticate poi non si capisce più niente. In altri termini, nella sceneggiatura ho lasciato delle parti in cui ho scritto: “Fa’ come vuoi”. Maro è un animatore a cui piace far muovere le cose, quindi gli ho detto di fare ciò che voleva ricorrendo alle sue capacità. Per questo la sceneggiatura è risultata uno scritto preparatorio e non definitivo, e anche i dialoghi l’ho lasciato cambiarli come desiderava. Io scrivo solo il minimo indispensabile. È questa la mia politica, e quindi questa volta non ho dato una minima occhiata nemmeno allo storyboard. Se l’avessi guardato, mi sarebbe sicuramente venuta voglia di dir qualcosa e avrei rubato a Maro la sua motivazione. Per me è finito tutto con la sceneggiatura e la visione del Mondo del film. E sono orgoglioso di aver fatto solo ciò. Anche Maro mi ha detto: “Ce la farò da solo.”
Per quanto riguarda la visione del Mondo del film, ho saputo che ha disegnato sedici illustrazioni a colori.
– Ad esempio della casa sotto il pavimento dove vive la famiglia di Arrietty. Se fosse stata una casa inglese, visto che pochi sanno com’è fatta, in qualche modo me la sarei cavata (XD). Ma visto che è giapponese, è difficile da realizzare. Come sono fatte le case giapponesi nel vuoto sotto la piattaforma? E a quel punto ho deciso di colpo che lì ci fossero dei mattoni dimenticati quando la casa è stata costruita. Normalmente però non sarebbe così (XD). Vengono usati per costruire la casa. Ho anche riflettuto parecchio su come far rubare loro il gas e l’elettricità. Ad esempio, per quanto riguarda l’elettricità, ho pensato che si potevano calare di notte sul salvavita facendolo scattare e, intanto che la domestica cercava con una torcia elettrica il salvavita per alzarlo, loro si collegavano ai cavi elettrici. Però è qualcosa di complicato da spiegare, per questo nel film non è stato rappresentato. Ma trascurando cose del genere la vita sotto il pavimento rischiava di avere un’immagine penosa, di chi vive nell’oscurità. Le illustrazioni del libro sono fatte così. Tuttavia, c’è il padre, che rubacchia pezzi di legno e carta, e che fabbrica carta da parati e anche sedie: ho voluto fare sì che questi gnomi posseggano una loro cultura. Altrimenti sarebbe risultato una vita in un rifugio antiaereo, come dei topi. Su questo punto ho detto anche a Maro di intervenire senza esitare.
Gli gnomi del libro avevano un’immagine in cui risaltava maggiormente la povertà, vero?
– Mary Norton, l’autrice, ha scritto questo libro nel 1952, sùbito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, e in Inghilterra il razionamento è proseguito sino al 1954 e rimanevano in profondità le cicatrici lasciate dalla guerra. Credo sia da queste condizioni che sia nato sia il personaggio di Arrietty e la rivoluzione copernicana che lei vive. Ora che il futuro s’è fatto incerto, mi sono detto che forse ci troviamo in un’epoca in cui lo staff avrebbe potuto condividere il sentimento dell’opera scritta dalla Norton col suo retroterra. Anche se io penso che il futuro sia qualcosa di inconoscibile di per sé.

Ho potuto continuare a realizzare delle opere grazie agli spettatori
Se Arrietty è una persona che vive con tutte le sue forze un’epoca dall’avvenire incerto, qualcuno che parte per cambiare il futuro l’abbiamo in Nausicaä della Valle del Vento, che lei ha realizzato nel 1984. Ho saputo che, ora che è appena uscito in Blu-ray, l’ha rivisto dopo tanto tempo.
– L’ho visto e mi sono chiesto: “Ma era davvero così debole?” È stata una specie di tortura.
Terminato di vederlo mi dicono che l’impressione di Suzuki sia stata: “Dal punto di vista tecnico siamo arrivati molto lontano”.
– Quando passano gli anni è naturale che le opere sembrino invecchiate. Manipolandole con la tecnologia attuale si possono fare diverse cose: si possono eliminare i graffî o correggere le sbavature di colore. Ma la conclusione a cui sono giunto in occasione di quest’uscita in Blu-ray è stata di non fare questi miglioramenti. A casa guardo spesso Disney Channel e le opere del passato vengono trasmesse dopo essere stato migliorate tramite procedimenti digitali. L’impressione che danno è del tutto diversa rispetto a quando li si vedeva un tempo su pellicola. Inoltre le elaborazioni eseguite sulla pellicola e possibili solo su di essa, quando la si digitalizza, finiscono per sparire. Quando si gira una pellicola ci sono delle leggere oscillazioni verticali e orizzontali. Sono queste oscillazioni a dar vita alla pellicola. Una volta digitalizzata, sembra solo una foto immobile. Una pellicola originale, anche se è un disegno con dei fondali deboli, è sbagliato modificarla con le tecnologie attuali. Perché quello è il massimo che si è riusciti a fare allora.
Però avete usato le tecnologie digitali per riportare l’opera alle condizioni in cui era al tempo della proiezioni in sala, vero?
– La pellicola per negativi anche lasciandola così com’è si deteriora. Quindi se si vuole conservare un’opera, l’unica è trasferirla in Blu-ray. E volendo conservarla in tal forma, non ha senso se non la si rende com’era al tempo della proiezione in sala. Però anche il Blu-ray magari un giorno sarà soppiantato da qualcosa tipo il Red-ray (XD).
Cosa ne pensa del fatto che le sue opere vengano conservate in tal forma? Avrebbe dei rimpianti se sparissero?
– Non mi interessa troppo che rimangano. Anche le opere altrui che mi ha fatto piacere vedere una volta, non ho voglia di rivederle. Anche quando ho rivisto Nausicaä, ho pensato: “Quindi avevo realizzato una cosa del genere?” Me n’ero completamente dimenticato.
Se n’era dimenticato?
– È stato qualcosa di difficile, quindi ho cercato di dimenticare. I miei film li vedo sino alla nausea finché non li finisco, quindi li conosco benissimo e non voglio rivederli. A maggior ragione non voglio vedere le reazioni degli spettatori. Dopo la prima quasi sempre non li rivedo più. Tra chi realizza film ce ne sono molti che vanno al cinema per vedere la reazione degli spettatori e io penso sia gente fortunata. Io, invece, una volta terminato di realizzare un film mi ritrovo a pensare come mai ho realizzato qualcosa del genere, un pensiero di cui finalmente mi libero dopo aver fatto il film successivo, e avanti così.
Non prova soddisfazione quando ha terminato un’opera?
– Mi sento davvero sfiancato. Eppure ho potuto continuare a realizzare delle opere grazie agli spettatori. Anche al tempo di Porco rosso, pur essendo un film per gente di mezza età, sono venuti a vederlo anche bambini delle elementari e questo mi ha salvato. Penso che quella volta ci fosse davvero la possibilità che lo Studio Ghibli chiudesse. Un rischio del genere c’è stato più volte e quindi, detto in generale, mi ritengo fortunato. Non ha senso analizzare i motivi di questa fortuna ma l’unica, per noi, è continuare a realizzare film sfruttando gli assi che abbiamo nella manica. Ed è perché gli spettatori sono venuti a vedere i nostri film che abbiamo potuto superare i momenti critici. Anche nei periodi in cui non realizziamo dei film, per varî motivi abbiamo delle spese. Questo perché lo studio deve vivere. Nei periodi in cui non facciamo nulla abbiamo vissuto grazie allo sfruttamento dei diritti. Sarebbe bello riuscire a fare un film all’anno ma come produttività, dal punto di vista mentale, non riusciremmo a reggere il ritmo. Suzuki dice che, dal punto di vista mentale, i momenti migliori sono quando facciamo un film. Una volta che esce ci sono le campagne pubblicitarie e cose del genere, che sono sfiancanti. Magari si potesse sempre fare dei film senza pubblicarli (XD).
Così non si dovrebbe neanche pensare al film successivo.
– Sì, perché una volta finito uno si deve sùbito fare quelli dopo. Però, noi, quando ne abbiamo finito uno, non abbiamo un progetto per quello successivo. Non ne abbiamo mai avuti. Attualmente Pak ne sta preparando uno, ma non abbiamo idea di quando lo completerà, e anche se mi dice di fare io il prossimo, resta incerto se ne potremo fare uno dopo. Di conseguenza anche i progetti li devo decidere da solo. Anche se riuscirò a farne uno per come siamo messi, questo devo valutarlo da solo.

Voglio vivere dopo aver fatto tutto ciò che potevo fare
In queste condizioni, attualmente in che direzione si sta muovendo?
– In quale direzione si può andare dopo aver finito Ponyo sulla scogliera? Nemmeno noi lo sappiamo bene. Le condizioni del Mondo del cinema e delle sale, e anche quelle del Mondo dell’animazione, cambiano di momento in momento. E ho proprio l’impressione che l’animazione giapponese sia giunta alla fine. Anche se cerchiamo nuovi dipendenti, si presentano quasi solo donne e ho l’impressione che non sia una bella cosa. Attualmente quando siamo alle strette possiamo anche prendere a prestito le mani di altri staff, ma anche questa risorsa presto o tardi si esaurirà. Però non voglio realizzare dei film affidandomi alla Cina. Perché non voglio che l’animazione giapponese si svuoti. Ebbene, cosa si può fare?
Sta dicendo che non sa come procedere, che non si vede una direzione?
– Noi ormai abbiamo una nostra decisione, stiamo a bordo della stessa barca e remiamo tutti insieme. Quella attuale è un’epoca in cui anche tra i guidatori di autobus ci sono un sacco di donne, quindi mi viene quasi da dire che non sarebbe male ritrovarci con una filanda fatta solo di donne (XD). Le dieci persone che abbiamo selezionato quest’anno, visto che, trovandoci alle strette, non abbiamo tempo per addestrarle, per ora stanno facendo un tirocinio al Museo Ghibli di Mitaka. Sono ormai due mesi e mezzo che lo fanno, e sono diventate piuttosto in gamba. Loro vorrebbero disegnare, ma le facciamo aiutare in varie cose nel museo. Io dico loro che più avanti avranno da disegnare sino alla nausea. Questi dieci, e i ventidue dello “Studio Ghibli Ovest” attualmente nella prefettura di Aichi, da Ottobre verranno riuniti nello staff dello studio come nuovi animatori. Così avremo trentadue nuove persone in un colpo solo e anche se gli altri correranno in avanti con le tecnologie più nuove alla velocità di un jet, noi, disegnando con matita e pennelli, proseguiremo remando tutti insieme.
Senza cavalcare l’onda del momento? Voglio dire, continuerete sulla linea dell’animazione fatta a mano di Ponyo sulla scogliera?
– No, se creassimo film con la stessa formula di Ponyo, mi stuferei sùbito. Bisogna realizzare diversi tipi di film. Ad esempio si può usare un’animazione più limitata, o si può cambiare tutto il modo di procedere a seconda dell’opera. Si tratta di voler vivere dopo aver fatto tutto ciò che potevo fare. Intendo che lo Studio Ghibli, anche se dovesse ridursi, come azienda, ad avere diciamo cinque dipendenti, potrebbe vivere come azienda che gestisce i proprî diritti. Non importa come, ma non posso mettere sulla strada la gente dello staff con cui ho lavorato finora. Anche se io ormai ho un’età a cui potrei essermi ritirato da un pezzo.
Dice che non può ritirarsi? Però potrebbe anche succedere che venga alla luce un nuovo regista, com’è ora per Yonebayashi, e che si faccia carico di parte dello Studio Ghibli, no?
– Be’, se devo immaginare qualcosa del genere ora, mi spiace per Maro, ma non riesco a immaginarlo. Maro stesso non è che possa ancora camminare con le proprie gambe. Al di là di come risultino le sue opere, deve diventare in grado di proporre di sua iniziativa e con chiarezza ciò che vuole realizzare.
Per il futuro, visto che ci sono così tante donne tra le nuove leve, non c’è la possibilità che nasca un’autrice d’animazione donna?
– Secondo me sarebbe interessante se nascesse una regista d’animazione donna, ma limitandoci allo Studio Ghibli non mi viene in mente alcun volto preciso. Se parliamo delle nuove leve, le donne possono cominciare sùbito a far parte della forza lavoro. Tra le nuove leve abbiamo cinque uomini, ma considerando gli esempî avuti finora, per gli uomini ci vuole del tempo a formarli. Cinque anni non bastano. Io non ho voglia di aspettare ben cinque anni per formarli (XD). Sinceramente, non so come andranno le cose.
Varrà per ogni campo, ma la formazione del personale è un compito notevole, vero?
– Anche la stessa Disney ha fallito in questo. La Disney, al tempo in cui c’era Walt Disney, ha avuto un periodo d’oro di dieci anni. Ma dopo ovviamente la formazione del personale non è andata bene. E questo nonostante gli enormi sforzi impiegati. I dieci anni dello Studio Ghibli dove li possiamo collocare? Sono passati ormai venticinque anni, siamo entrati nel terzo decennio, ma io penso che l’apice sia stato quando abbiamo fatto Il mio vicino Totoro e Una tomba per le lucciole. Il nostro periodo d’oro probabilmente è stato allora. Con quelle due pellicole, considerando anche l’avventura mentale che c’è stata dietro, abbiamo dato forma a qualcosa che prima non c’era. Perché quando le abbiamo realizzate non avevamo paura di niente. Le abbiamo fatte senza la paura che gli spettatori non venissero a vederle, e infatti non sono venuti (XD).
Con avventura mentale intende che avete mirato a qualcosa di diverso dall’animazione di allora?
– Anche gli altri facevano le loro belle opere. Noi invece abbiamo fatto qualcosa di diverso. Ci sono anche opere che hanno ottenuto una popolarità molto maggiore delle nostre, che hanno attirato un sacco di spettatori. Cose di moda, versioni cinematografiche di serie televisive che non richiedono grandi sforzi, indirizzate al pubblico dei bambini e che vendono prodotti collegati. Cose del genere ce ne sono sempre state. Ma io e Pak, coerentemente, non abbiamo mai mirato a cose del genere. Per questo, se apri i libri sulla storia della quotidianità dei giapponesi, ci trovi La corazzata Yamato o Galaxy Express 999, ma non Heidi. Detto in breve, non abbiamo mai conquistato la società in quel modo. Il desiderio di non realizzare cose alla moda io e Pak ce l’abbiamo avuto sin dai tempi della Tōei Dōga. E credo sia questa tendenza che ci ha fatto realizzare Il mio vicino Totoro o Una tomba per le lucciole. E ho idea che di seguito in un certo senso sia diventata anche la tendenza delle opere dello Studio Ghibli. Non credo poi che questo mio modo di pensare sia quello giusto. Se in qualche modo, ciò nonostante, siamo riusciti a sopravvivere, credo sia stato grazie alla capacità di scommettere di Suzuki e a diversi altri fattori.
In un certo senso, mentre le opere dello Studio Ghibli, che non seguivano la massa, sono sopravvissute diventando mainstream, il resto dell’animazione per la televisione e il cinema si ritrova ad avere una base di fan limitata rispetto a una volta, giusto?
Un mio senpai mi disse che l’ukiyo-e è finito nel giro di cinquant’anni e quindi anche l’animazione ormai è alla fine. Mi dico che ormai cinquant’anni sono passati. In altri termini, La leggenda del serpente bianco, primo lungometraggio d’animazione commerciale della Tōei Dōga, è stato proiettato nel 1958, e da allora sono passati effettivamente cinquant’anni. Voglio dire che, dal punto di vista della Storia giapponese, l’animazione come l’ukiyo-e è alla fine. Però anche l’ukiyo-e, passato il suo periodo d’oro di cinquant’anni, ha continuato a esser prodotto. Quindi mi dico che anche noi non possiamo che andare avanti a creare. Anche per il progetto per la prossima opera, ho promesso davanti allo staff che per quanto riguarda il progetto stesso e lo staff stesso ce ne assumeremo la responsabilità io e Suzuki. Per questo, anche se magari al di là del mare non c’è un’isola, intanto l’unica è salpare. Questo ho deciso.

Finora Miyazaki Hayao ha annunciato più volte il proprio ritiro. Ma io ho l’impressione che attualmente la sua mentalità sia di “non voltarsi verso il passato e non fermarsi nel presente”. La navigazione della nave dello Studio Ghibli proseguirà anche in futuro, con Miyazaki Hayao e Suzuki Toshio come navigatori, e chissà verso quale porto è diretta. Qui ho cercato di vederne la meta.

La roba vecchia


Anni fa, molti anni fa, avevo un sito.
Prima che cominciassi a tradurre per l’editoria.
Questo sito conteneva traduzioni che avevo fatto per conto mio. Si trattava di traduzioni di materiale relativo all’animazione giapponese: interviste e articoli, perlopiù sullo Studio Ghibli o su Oshii Mamoru (regista su cui ho scritto la mia tesi di laurea).
Poi il portale che ospitava questo sito ha chiuso i battenti.
Bene, ora ho approfittato delle “vacanze” estive per riesumare il materiale, remiscelarlo e, spolverando un po’ di cognizioni di HTML, ho rimesso tutto quanto in rete.
Tra interviste e articoli si tratta in totale di due dozzine di traduzioni. Più una manciata di traduzioni di sigle e canzoni.
Tutto qui.
Non credo verrà aggiunto in futuro altro materiale, causa mancanza di tempo.
Anche se, in fondo, non si sa mai…

Il sito si trova a questo indirizzo: yupa.neocities.org.
Buona lettura.

Madoka Magica!


Recentemente guardo pochissimi anime.
Recentemente ho visto Madoka Magica (魔法少女まどか☆マギカ) e, che dire?, ho fatto più che bene a vederlo.
Ho voluto prendere qualche appunto, ma alla fine gli appunti si sono spontaneamente trasformati in un commento articolato, per quanto breve breve. Era da tanto che non scrivevo qualcosa del genere! Il commento, più che su Madoka in sé, è su Madoka entro il suo genere, com’è forse inevitabile.
[sempre in tema di recuperi: ho visto anche La malinconia di Suzumiya Haruhi, ma visto che preferisco scrivere di cose che gradisco, non ne scriverò]

Cosa è e cosa non è Madoka Magica.
Madoka Magica non è una decostruzione del genere mahō shōjo (魔法少女: quello delle maghette, per intenderci). Tutto ciò che di terribile mostra Madoka Magica lo si può già trovare, per chi li ha guardati bene, negli anime majokkeschi degli anni Novanta, che siano Sailor Moon, Ririka SOS, o Pretty Sami, per dire i primi nomi che possono venire in mente (ma anche Rayearth, per quanto rientri parzialmente nel genere): personaggi che muoiono senza ritorno, amene realtà che si rivelano oscure, echi lovecrafiani, personaggi secondari e/o protagoniste che si immolano nell’estremo sacrificio per il bene comune, tanta tanta sofferenza, e infine la celebrazione dell’amicizia come bene supremo in un Mondo ostile. E così via.
Tutto questo lo s’è già visto e rivisto.
Il copione è noto e stranoto.
Le maghette ne hanno già passate di ogni.
Quel che ora cambia non è il cosa, ma il come.
Madoka Magica è, quindi, il genere mahō shōjo finalmente depurato e infine sublimato. Finalmente depurato da tutte le necessità che comporta il rivolgersi al pubblico televisivo infantile da spremere economicamente.
Depurato quindi dalla serialità con decine e decine, se non centinaia, di puntate, e chi se ne importa se oltre la metà sono riempitivi: ora la vicenda è contenuta e priva di sbrodolamenti nella compattezza di dodici episodî dodici.
Depurato dalla necessità di vendere giocattoli rosa e plasticosi: in Madoka Magica di gadget luccitintinnanti da far vomitare alle fabbriche nell’ordine dei milioni non ce ne sono.
Depurato dalla necessità di umorismo e comicità perché i piccoli spettatori si devono divertire e non guardare anime troppo serî: in Madoka Magica si ride poco, anzi per niente, e una volta tanto, tra tanti anime che ti infilano l’umorismo come una gamba di traverso, è anche una boccata d’aria.
Depurato dalla necessità di una grafica semplice e di una regia elementare, sempre perché anche gli spettatori più piccoli possano capire.
Madoka Magica è il genere mahō shōjo infine sublimato. Sublimato nella festa visiva che è il suo lato grafico; nella delicatezza del tratteggio dei primissimi piani; nei giochi di colori ora caldi e ora gelidi, ora delicatamente pastellosi; negli sfondi in cui paesaggi cittadini si fanno barocche cattedrali; nel delirio immaginifico e sperimentale delle realtà distorte create dalla Streghe; nella raffinatezza della sua colonna sonora.
Madoka Magica vive nella sua forma (il come), dove tale è il lavoro svolto dallo staff che la storia (il cosa), pur costruita con scaltrezza e gradevole nel suo dispiegarsi implacabile, non è ciò che più conta.
Madoka Magica, in tal senso, spicca come un singolare unicum: figlia, nel cosa, di tutte le ragazzine magiche che l’anno preceduta, sin dai lontani anni Sessanta; eppure al contempo orfana per la generosità del suo come, per il generoso dispiegarsi della sua visionarietà. Un’anomalia paradigmatica priva, a tutt’oggi, che io sappia, di serî successori. E forse è meglio così. Difficile imitare un simile risultato.

Nausicaä e la Natura . Un’analisi critica del fumetto di Miyazaki Hayao


NauNatura2014_coverCredo che l’immagine parli da sola: ho scritto una specie di saggio breve su Nausicaä, e l’ho autopubblicato.
È la concretizzazione di un’intenzione antica non di mesi, ma di anni.
Su Miyazaki è stato scritto tanto, ci sono ormai anche diversi libri in italiano, ma di solito trascurano, se non ignorano, il lato fumettistico del grande regista. È vero che, se si escludono alcune brevissime storie, Nausicaä resta l’unico fumetto dell’autore, e purtuttavia ho sempre sentito come sconcertante la poca attenzione dedicatagli dalla critica.
Nausicaä è già solo di per sé, con le sue circa mille pagine, un’opera di grandissimo valore. Brilla ancor di più, e di una luce arcana, se posta a fianco dei film che nel frattempo Miyazaki girava: Laputa, Totoro e Porco Rosso sono a conti fatti opere molto solari, di grande leggerezza, mentre il fumetto di Nausicaä è opera dal respiro epico ma dal contenuto spesso tragico, cupo, una lettura spessa e aspra in grado di porre questioni scomode che si risolvono solo parzialmente in un finale assai amaro e problematico.
È quindi un peccato che tutti coloro che, finora, hanno provato a scrivere su Miyazaki, non abbiano concesso a Nausicaä fumetto lo spazio che, secondo me, avrebbe più che meritato.
Non so se le cinquanta circa pagine che ho scritto rimedieranno. Sarebbe per me grandissima soddisfazione se ci riuscissero anche solo parzialmente, anche solo un pochino pochino pochino.
Ho scelto l’autopubblicazione digitale perché… be’, le condizioni dell’editoria italiana, specie quando si parla di saggistica di nicchia, sono quello che sono.
L’autopubblicazione digitale mi permette inoltre di promuovere lo scritto in forma gratuita. Mi interessa soprattutto che sia scaricato & letto, non certo di “guadagnarci”.
Onde per cui, da oggi e sino a venerdì 22 agosto, l’elettrolibro è scaricabile gratuitamente da amazon. Successivamente sarà disponibile al prezzo minimo di 0,89€.
Inoltre ho evitato di inchiavardare l’elettrolibro con lucchetti digitali (DRM o simili) appositamente per incentivare la massima portabilità. Leggete & diffondete.